Uno dei compiti più difficili per me dal punto di vista emotivo è sostenere il dolore delle mamme ma spesso anche dei papà che vengono al mio studio spaventati che il loro bambino possa avere difficoltà scolastiche insuperabili.
Ho più volte detto che nell’equipe dei medici che fanno percorsi di accertamento clinico sulle difficoltà scolastiche degli studenti ci dovrebbe essere un pedagogista. Questo perché si occupa di valutazione didattica con competenza di metodo che gli permette di comprendere fino in fondo se il bambino ha le difficoltà certificate dal medico o se c’è una carenza da parte del docente nel trasmettere la conoscenza, che sembrerebbe nessuno metta mai in discussione.
Il medico, basandosi esclusivamente su una valutazione genetica, neurologica e/o dei valori ematici, una volta scongiurati, dovrebbe dar spazio all’approccio didattico-relazionale di competenza del pedagogista, che di fatto però non avviene mai, creando così un vuoto valutativo fondamentale.
Ma oltre tutto questo, un’altra situazione sembrerebbe lasciata inascoltata da tutti gli interlocutori, ovvero, quello che provano i genitori.
Ogni coppia durante la gravidanza della donna spera che il bambino possa nascere sano. Però poi, una volta venuto al mondo sano, con un APGAR adeguato, i genitori non pensano mai che potrebbe avere, con l’inizio della scuola, difficoltà di apprendimento. Pertanto quando questa notizia arriva, il più delle volte è un fulmine a ciel sereno, e la mamma e il papà si sentono devastare dentro dall’impotenza e cominciano a farsi giustamente, centomila domande.
Entrati nel mondo della scuola si ritrovano a fare i conti con una pressione psicologica fortissima da parte dei docenti per ogni situazione del loro bambino che devia dalla norma, o meglio da quella che il mondo della scuola e della medicina, definisce “norma”, annullando completamente la personalità del bambino, la sua creatività e la sua soggettività.
Il genitore, un pomeriggio come tanti, andando a riprendersi il figlio a scuola viene fermato dal docente che afferma con aria di rimprovero:
- oggi suo figlio non è stato fermo un attimo, ha disturbato tutto il tempo;
- non ha voluto scrivere niente;
- non so cosa fare, chiacchiera continuamente;
- i problemi proprio non li capisce;
- è lentissima, io non posso fermarmi per lei, devo andare avanti con il programma;
- guarda per aria e non ascolta;
- lo richiamo all’attenzione ma sembra non gli importi niente di ciò che dico;
- è maleducato, sporca, risponde male, insulta i compagni;
- non vuole mangiare;
- ride continuamente;
- nel dettato solo lei non segue; ecc.
I genitori la prima volta chiederanno scusa, spiegheranno ai docenti che parleranno al loro bambino, che la aiuteranno nei compiti, che a casa non si comporta in quel modo ecc., sperando poi che la questione si limiti solo a quella giornata. Ma non è così. Il giorno dopo siamo punto e d’accapo. E anche quello dopo ancora e quello dopo ancora, fino a vedere i genitori sfiniti dalle lamentele espresse sia a voce che per iscritto, da quello stesso insegnante che dovrebbe contribuire in modo costruttivo alla crescita della propria figlia e non certo per accusarla di situazioni di cui il genitore, non essendo presente, nulla può farci.
Presi per la stanchezza, la frustrazione dell’impotenza, lo sconforto, l’imbarazzo nel sentirsi sempre giudicare e rimproverare la figlia, spesso anche in presenza di altri genitori o degli stessi alunni, quella mamma e quel papà si sottometteranno alle richieste (il più delle volte ingiustificate), di sottoporre il proprio bambino o bambina ad accertamenti clinici, perché, come le insegnanti “competenti” dicono, sicuramente ha dei problemi cognitivi. Così quelle mamme e quei papà si ritroveranno a pensare di avere un figlio “disturbato” e il mondo gli crolla addosso.
Ci sono però anche le famiglie che con più sensibilità cominciano a tranquillizzarsi pensando che sì, la propria bambina ha delle piccole difficoltà, ma chi non ne ha avute a scuola prima o poi? Forse il docente esagera! E per un attimo si rasserenano.
Ma la scuola è sempre lì, e così quell’insegnante! Il giorno dopo quella mamma dovrà riportare a scuola e riconsegnare il proprio bambino nelle mani di quella docente che non ha alcuna stima e fiducia nelle sue potenzialità. E difatti, così come racconta l’effetto Pigmalione, la profezia si autoadempie e all’uscita di scuola, ricomincia la pressione su quello che il bambino ha fatto e non doveva fare o su quello che non ha fatto e che avrebbe dovuto fare. E la stessa mamma cade nuovamente nel tormento frustrante dell’insegnante e nel terrore della diversità del figlio.
Ora. Ci sono le mamme forti che sanno affrontare la situazione, la sanno guardare con coerenza e in famiglia con l’appoggio del compagno, ma ci sono anche i papà che crollano, le mamme che si disperano e la famiglia va in pezzi.
I genitori piangono, si chiedono dove hanno sbagliato. Vengono letteralmente abbandonati dalle Istituzioni scolastiche soddisfatte delle certificazioni ora protocollate, estorte loro dai docenti, che il più delle volte non vogliono assumersi alcuna responsabilità in merito ad una didattica alternativa, volendosi limitare a dispensare e compensare, liberandosi così da ogni tentativo di provarci ancora.
Questi genitori vengono anche abbandonati dai medici che hanno assecondato con la certificazione e per ignoranza didattica, i docenti. Hanno constatando che sì, effettivamente il bambino è un po’ indietro rispetto agli altri (lo ha detto il test! ma non gli accertamenti clinici!) e pertanto c’è bisogno che i logopedisti (esperti in difficoltà del linguaggio, ma non in didattica e relazione) se ne prendano cura; il più delle volte però, senza arrivare ad alcun risultato e riconfermando così, ancora una volta, la diagnosi medica.
È chiaro ora per la famiglia, che non resta altro che abbandonarsi letteralmente a quelle risoluzioni compensative e dispensative, cancellando in due parole ogni possibilità di maturità e crescita cognitiva e metacognitiva dei propri figli.
Certo, molti genitori trovano in tutto questo iter un modo per alleviare le proprie delusioni provenienti da quel figlio difficile e la responsabilità di doversi impegnare di più per sostenerlo. Ma ci sono altrettanti genitori che invece non si vogliono sottrarre alle proprie responsabilità e tutto quel dire senza una motivazione, soluzione e scopo risolutivo, non lo accettano. Per questi genitori ci sono due possibilità: trovare chi aiuta i loro figli nel percorso scolastico a recuperare le carenze ed essere a loro volta sostenuti, oppure rinunciare andando in depressione.
Mi domando perché le istituzioni debbano togliere ogni speranza a bambini che nulla hanno se non qualche difficoltà in più che può e deve essere superata con metodo, didattica e capacità relazionali specifiche, e che sarebbe d’obbligo gli insegnanti possedessero per stare in cattedra. La deontologia dei docenti non prevede che si limitino a fare la lezioncina frontale e chi segue segue. La loro deontologia prevede che si modellino sulle potenzialità di ogni studente e che ne traggano il miglior profitto, alternando la didattica che non è di un unico modello valido per tutti. La loro deontologia prevede che si sappiano guardare nelle loro azioni, nei loro pensieri profondi e nelle loro parole, e che sappiano poi relazionarsi con gli studenti e non viceversa.
Pertanto prima di tormentare i genitori per situazioni scomode, sarebbe necessario imparare a essere insegnanti deontologicamente corretti, assumendosi le proprie responsabilità e se non si è in grado di fare questo, di lasciare il posto a chi ha voglia e capacità per farlo. Non solo. Ogni dirigente scolastico deontologicamente corretto e preparato, dovrebbe avere nella propria scuola un pedagogista (e non uno psicologo o non solo), perché il più delle volte il problema risiede nelle difficoltà didattiche e relazionali del docente su cui può e deve normalmente intervenire il pedagogista, ovvero l’esperto dell’educazione, della crescita e della didattica.
PS: Nel mondo della scuola ci sono insegnanti capaci e deontologicamente corretti. Ma sono purtroppo la minoranza. Chiederei agli insegnanti che con questo articolo si sentono presi in causa, di evitare gli insulti, perché io non vi conosco e non sto facendo il vostro nome.
Ognuno di voi può pensarsi parte di questo scritto e cambiare, oppure continuare a pensare che i bambini debbano essere marionette al vostro servizio, con i vostri tempi, privi di capacità autonome, creative e di competenza*. Dove, a vostro avviso, la vivacità e la loro personalità deve essere repressa perché si possa stare tutti fermi, zitti e attenti alle vostre noiosissime lezioni.
Sappiate che non mi fermerò nell’esprimere ciò che penso, che lo scriverò ancora, e poi ancora e poi ancora, quel tanto che basta per dar voce a chi non ne ha.
Intendiamoci, anche i genitori spesso sbagliano, ma voi siete pagati, loro no. Inoltre voi sbagliate sui figli degli altri, i genitori solo sui propri. Voi sbagliate senza affettività, i genitori sbagliano per affettività. E tutto questo fa un’enorme differenza…
Dr.ssa Tiziana Cristofari
© Tutti i diritti riservati
*Jesper Juul, Il bambino è competente, Feltrinelli, Milano 2017
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Un titolo e un contenuto sicuramente contro tendenza, dato che libri e manuali sull’argomento parlano solo di come riconoscere i disturbi dell’apprendimento e quali sono gli strumenti dispensativi e/o compensativi per sostenere una realtà che, secondo la maggioranza della comunità scientifica, non ha soluzione in quanto i disturbi sarebbero causati da fattori genetici o neurobiologici.
Nel mio libro affronto scientificamente tutti questi argomenti e li smonto uno per uno dimostrando come sia improbabile quanto viene affermato. Ma soprattutto spiegando perché la comunità scientifica non ha ancora compreso o voluto comprendere, che questi “disturbi” mettono radici lì dove la scuola e la famiglia crescono figli e studenti senza una pedagogia adeguata.
Codice ISBN: 9791220015424
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