Quando ci rivolgiamo a un professionista speriamo sempre che il suo lavoro sia fatto con coscienza e senza altri fini se non quello di dare una risposta onesta al nostro quesito.
È anche vero però, che spesso ci aspettiamo da questi professionisti delle conferme sociali, più che personali, perché sapere che altre persone hanno il nostro stesso problema ci fa sentire meno soli. Ma è vero anche, che i professionisti agiscono secondo una realtà personalissima coltivata attraverso il loro percorso di vita, di studi e di esperienze professionali.
Facciamo un esempio: alcuni medici si laureano in medicina, ma poi rivolgono la loro attenzione a medicine alternative (es. l’omeopatia). Come mai? Hanno forse deciso di tradire il giuramento di Ippocrate? Oppure. Perché i medici che dovrebbero avere tutti la stessa formazione, spesso non sono d’accordo su un percorso di cura? Perché ad esempio, gli psichiatri per la cura della malattia mentale utilizzano teorie e prassi diverse (es. farmaci o senza farmaci)? O ancora. Perché i bambini sono giudicati negativamente da alcune docenti e gli stessi bambini fanno percorsi più felici e sono giudicati positivamente da altre docenti?
Forse perché questi professionisti, pur agendo nelle migliori intenzioni, hanno percorsi di vita e di studi diversi? Approfondimenti e aggiornamenti diversi sulla loro professione? Approcci e relazioni diverse con l’altro essere umano?
Quando pubblico i miei articoli esprimendo la mia posizione in merito ai disturbi dell’apprendimento si formano due schieramenti: coloro che la pensano come me elogiando il mio lavoro e quelli che mi insultano chiamandomi pseudo dottoressa, chiedendosi quale università mi abbia rilasciato una laurea, dicendomi che sono ignorante, che sono una banale pedagogista e che diffondo cose non vere (senza però spiegarmi il perché o sapendo confutare le mie dichiarazioni). Eppure queste persone non mi hanno mai conosciuta personalmente!
Ho provato a mettermi nei loro panni, perché la mia professione lo richiede e perché parto sempre dal presupposto che l’altro non è “cattivo”.
Ho così provato a darmi delle spiegazioni.
- Sicuramente lo fanno per ignoranza e incompetenza in materia (di solito meno si sa e più si insulta);
- oppure lo fanno perché pensano ingenuamente che quello che conoscono sia l’unica verità;
- o perché avendo fatto un percorso specifico con i propri figli, e non avendo ottenuto risultati soddisfacenti, non accettano e non tollerano l’idea che possa esserci un’altra possibilità e una speranza di cambiamento che loro non avranno più (magari perché i figli oramai sono cresciuti) oppure perché non vogliono provarla, un’altra soluzione;
- ma anche perché fa paura accettare l’idea che possiamo cambiare il nostro destino, se solo avessimo voglia di modificare noi stessi e ciò che fino a quel momento abbiamo creduto di poter delegare ad altri (medici);
- o ancora, perché la diffusione mediatica (grande causa di una certa ideologia e di un certo credo) è interessata a specifiche realtà di informazione e formazione che spingono gli utenti (mondo della ricerca, della scuola, docenti, genitori e medici) sempre su interessi politici ed economici specifici (interessantissimo al riguardo (e da brivido direi), il libro Assalto all’infanzia di Joel Bakan, Feltrinelli).
Per tutte queste motivazioni che sono più culturali che personali, non mi sento di condannare queste persone per la loro aggressività. Ma sicuramente si può condannare la politica perché non ha permesso loro di fare un percorso di studi capace di coltivare un pensiero costruttivo e critico che vada oltre ciò che si conosce, ma che possa abbracciare anche l’idea di non sapere, e pertanto di imparare ad ascoltare. Non a caso Socrate diceva “so di non sapere”.
Nella mia attività come pedagogista e ricercatrice, se mi fossi limitata alla cultura generale e alla competenza che l’università mi ha dato, avrei sicuramente ascoltato la stragrande maggioranza delle persone che dicono che i disturbi dell’apprendimento senza lesione organica (ovvero quelle che io reputo essere difficoltà scolastiche) sono neurobiologici o genetici.
Infondo (come tanti insulti ribadiscono), sono solo una pedagogista!, al più un’insegnante, come posso contrastare i neuropsichiatri, i biologi, i genetisti, i dottori in medicina che hanno lauree molto più valide della mia? Sempre secondo la cultura dominante, ovviamente!
Per dire ciò che pubblico, sono partita dalla mia attività poco conosciuta e riconosciuta di pedagogista-insegnante, ovvero dal punto di vista di chi si occupa della crescita ottimale dei bambini, sia fisica che psichica che cognitiva. Nel fare il mio lavoro però, qualcosa non tornava perché quei bambini diagnosticati con disturbo dell’apprendimento, con me superavano le difficoltà scolastiche. Pertanto, nel momento in cui mi sono resa conto di questo, ho sentito come un mio dovere approfondire quanto si andava raccontando in giro su questi “disturbi”.
E così ho fatto. Ho preso altri libri rispetto a quelli del mio percorso accademico e ho studiato argomenti quali psichiatria, genetica, biologia, che non sono prerogativa esclusiva di chi frequenta specifici corsi universitari! Ho approfondito poi ancora di più le materie umanistiche del mio indirizzo accademico: antropologia, sociologia, pedagogia, psicologia. Sono andata alla ricerca di quello che gli ultimi studi sull’epigenetica hanno scoperto e ho tratto le mie conclusioni.
Non ho fatto niente di più che continuare a studiare e fare ricerca! Anche se sono solo una pedagogista! Nessuno spirito santo è sceso dal cielo a illuminarmi; nessuno stregone o ciarlatano risiede nel mio studio a indicarmi la strada; ma solo studio e conoscenza scientifica alla portata di tutti, fortunatamente!
Non solo, chiarisco che non ho fatto la scoperta dell’acqua calda! Mi attengo a studi sulla genetica, l’epigenetica, la psichiatria, ecc. di emeriti esperti a livello mondiale e che fanno ricerca in università famosissime. Ribadisco: non ho scoperto nulla! I miei articoli sono tutti con i riferimenti bibliografici; e questa ovviamente, è la motivazione per cui mi insultano senza riuscire a trovare il contraddittorio e smentire ciò che affermo.
Ma non è tutto. Quando io sostengo che i disturbi dell’apprendimento non hanno origine “permanente”, ovvero biologica, genetica, neurospichiatrica ecc., non sto dicendo che lo studente non ha problemi, ma vorrei solo passare il messaggio che c’è una possibilità chiamata “relazione-pedagogica e didattica” per superare quelle difficoltà. Che non è, ovviamente, rimproverare i bambini, dire che sono sfaticati, disattenti o quant’altro. Ma affermare che queste difficoltà sono superabili. Significa dare a questi bambini (e alle loro famiglie) una speranza, una possibilità di essere e sentirsi come tutti gli altri.
Il mio pensiero pedagogico a questi studenti non toglie nulla, anzi permette il recupero senza atto medico. Affermare invece che devono essere diagnosticati e refertati, permettendo loro di essere compensati e dispensati (e magari facendo comodo a insegnanti e genitori perché li solleva dalla responsabilità), significa togliere ai bambini la possibilità di superare i loro ostacoli, facendoli essere inferiori agli altri. Ma non perché lo siano, ma perché noi permettiamo che lo diventino. E perché loro sicuramente con la certificazione e il sostegno in classe ci si sentiranno.
Ma non solo. Certificare spesso significa fare percorsi medici lunghi che non permetteranno comunque di recuperare le carenze scolastiche; e con l’aggiunta spesso di psicofarmaci che aiutano enormemente la ricchezza di alcune lobbie mediche e farmaceutiche, permettendo così che l’economia giri sulla pelle dei bambini.
Quello che sto dicendo non è che bisogna chiudere gli occhi sulle difficoltà scolastiche degli studenti. Al contrario, sto dicendo che bisogna intervenire in modo diverso, con la giusta competenza che è, in un parola, quella pedagogica, ovvero di chi conosce la relazione umana e la sa usare con il bambino, e insieme ad essa conosce la didattica e il metodo perché si raggiungano i risultati aspettati per ogni studente.
Dr.ssa Tiziana Cristofari
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Un titolo e un contenuto sicuramente contro tendenza, dato che libri e manuali sull’argomento parlano solo di come riconoscere i disturbi dell’apprendimento e quali sono gli strumenti dispensativi e/o compensativi per sostenere una realtà che, secondo la maggioranza della comunità scientifica, non ha soluzione in quanto i disturbi sarebbero causati da fattori genetici o neurobiologici.
Nel mio libro affronto scientificamente tutti questi argomenti e li smonto uno per uno dimostrando come sia improbabile quanto viene affermato. Ma soprattutto spiegando perché la comunità scientifica non ha ancora compreso o voluto comprendere, che questi “disturbi” mettono radici lì dove la scuola e la famiglia crescono figli e studenti senza una pedagogia adeguata.
Codice ISBN: 9791220015424
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