Nella nostra scuola, nella scuola che ha sempre contraddistinto la nostra civiltà occidentale, la dimensione non cosciente dell’uomo è stata sempre la grande assente. Eh sì, la scuola da quando è nata è stata, infatti, solo ed esclusivamente la scuola della ragione.
Allo stesso modo, la scienza che ha governato le attività educative della scuola, la pedagogia, è stata una disciplina della ragione.
È stata una pedagogia determinata da una ben precisa rappresentazione della realtà umana, dominata a sua volta da una “razionalità” pervasiva e plurale, in cui il modello educativo universale è divenuto l’homo sapiens cartesiano, l’uomo classico tutto logica e ragione, e di cui la “testa ben fatta” di Morin è l’espressione più recente e conclamata, e ahìnoi, più diffusa.
Questa pedagogia ha trascurato, negandola, una dimensione grande e importante, addirittura decisiva, della realtà umana, quella non cosciente, ovviamente non razionale. Ad affermare ciò ci portano anche l’acclarata incontrollabilità del processo formativo e l’inconoscibilità degli scarsi e contraddittori esiti educativi e scolastici che sono sotto gli occhi di tutti.
Così com’è avvenuto sempre nel passato, ora sfuggono ancor di più a ogni ragione analitica e oggettiva i risultati sempre più avvilenti dei processi di apprendimento condotti nelle scuole, le quali sono assolutamente impotenti a ripristinare l’efficacia di un sistema istituzionale e culturale.
L’insuccesso educativo, ieri come oggi, risiede invece nella “realtà negata” della struttura psichica, prevalentemente non cosciente e delle dinamiche psichiche delle personalità infantili e giovanili nella loro interazione con i contesti ambientali e umani, nonché nelle relazioni interpersonali a vario indice di affettività e umanità.
Risulta chiaro, quindi, che la pedagogia o meglio, tutte le pedagogie ispirate all’esistenzialismo, al marxismo, all’empirismo, al personalismo, al pragmatismo, al laicismo, al cattolicesimo, all’ermeneutica e così via, hanno seguito un approccio e un itinerario logico-razionale fondati su valutazioni parziali della realtà umana e, di conseguenza, su una gerarchizzazione tra razionale (conoscenza) e irrazionale (inteso semplicisticamente ora come emozione) con la “tragica” conseguenza di sottovalutare nell’intervento pedagogico l’integrazione con una “pedagogia dell’irrazionale” tesa a favorire nel soggetto in formazione la coscienza del proprio vissuto non cosciente, e di tutto ciò che da esso scaturisce, e l’acquisizione della dimensione non cosciente come luogo e strumento di conoscenza.
La pedagogia fondata sul feticismo della ragione ha impedito la conoscenza globale della realtà umana e ha prodotto un oscuramento cognitivo della dimensione non cosciente. Se così non fosse stato, se l’educazione pedagogizzata avesse considerato il non cosciente, il processo educativo e la scienza che di esso si occupa, avrebbero minato il loro carattere razionalistico, disintegrando la certezza ontologica della verità razionale e rischiato in ultimo di danneggiare con forza gli assetti ideologici delle società occidentali.
A recuperare la negazione pedagogica della dimensione inconscia e del “pensiero non cosciente” non sono bastati né l’ingenuo e scientificamente inconsistente tentativo dell’inconscio freudiano, quale universo della rimozione (del cosciente dimenticato), né il tentativo delle pedagogie d’ispirazione neuroscientifica che hanno razionalmente mentalizzato le emozioni ed emozionalizzato la mente.
A non essere stato mai pedagogicamente conosciuto e “controllato” è stato il “pensiero non razionale”, quella dimensione umana che ha realmente determinato, e sempre determina, la crescita e l’identità delle personalità, avendo creato e creando, così come insegna la storia dell’educazione, percorsi divergenti e alternativi rispetto alla direttività auspicata dalla ratio pedagogica ed educativa. In ragione di ciò, è lecito e doveroso ipotizzare e poi avere certezza scientifica e culturale del protagonismo decisivo del “pensiero non razionale” nella determinazione dei processi educativi e quindi dei destini delle personalità.
Con la consapevolezza che la pedagogia sia quella disciplina che più di altre debba contribuire all’elaborazione di nuove prospettive per formare all’adattabilità storica dell’uomo e all’arricchimento della sua creatività per