Spesso quando dico ai genitori che devono parlare con i propri figli, che ci devono giocare, che devono stare nella relazione con il pensiero e non solo fisicamente, mi guardano come per dire: mi sembra ovvio che lo faccio! Danno per scontato però qualcosa che scontato non è. Ma non solo: pensano di fare tutte queste cose, ma in realtà non le fanno o le fanno molto raramente.
Ora. È chiaro che io non vivo con le famiglie e pertanto non posso dire ciò che loro fanno o non fanno. Quello che so è che la pedagogia ha una teoria valida di approccio al bambino che contribuisce al suo migliore sviluppo cognitivo e l’ho sperimentata personalmente. Pertanto, se con me il bambino ottiene certi risultati e si muove in un certo modo che tutti i genitori auspicano, perché ciò non dovrebbe avvenire anche in famiglia?
Facciamo un passo indietro e un piccolo esempio per spiegare meglio ciò che intendo.
Se ho mal di pancia perché ho mangiato male e mi rivolgo al medico che mi dà la pasticca per riequilibrare l’intestino e non la prendo, il problema me lo tengo (almeno per qualche giorno); poi però dovrò comunque mangiare meglio altrimenti mi potrà capitare nuovamente di avere mal di pancia. Questo discorso medico ci porta ad intuire — anche per noi che non sappiamo nulla di gastroenterologia — che un’alimentazione sana ci impedirebbe di avere mal di pancia. Pertanto, ignorando la scienza pedagogica che possiede una teoria, ovvero come dovrebbe essere il comportamento corretto verso i bambini, e ci spiega come ci si deve muovere con i giovani in formazione, ma non si fa, il “mal di pancia” potrebbe venire. Lo so, è una questione di fiducia. A volte ci capita di non seguire nemmeno le indicazioni dei medici tenendoci il mal di pancia. Questo indica però che non sono i nostri figli ad essere nati in un certo modo, ma è il contesto familiare, ambientale, che fa essere o diventare in un certo modo.
Cerchiamo di capire cosa intendo per corretta relazione con i propri figli e il nesso che ha con il deficit dell’attenzione.
1. Parlare non vuol dire limitarsi a chiedergli come è andata a scuola, cosa preferisce mangiare, o con quale gioco si vuole intrattenere ecc. Parlare con i propri figli significa considerarli persone capaci di capire (a tutte le età) e costruire un dialogo veramente interessato a ciò che il bambino dice, pensa e fa in qualsiasi momento della giornata e su qualsiasi argomento.
2. Giocare non significa sedersi affianco alla propria bambina, prendere in mano la Barbie e pensare ad altro. Significa costruire un dialogo con la bambina attraverso il giocattolo esattamente come farebbero tra bambine; partecipare non solo fisicamente, ma anche con il pensiero.
3. Stare con il pensiero appunto, significa eliminare ogni altro pensiero disturbatore, fosse un problema di lavoro o di famiglia o di qualunque altro genere, ed entrare in relazione con i propri figli tenendo presente che i problemi dell’adulto non devono ricadere sui bambini. Ma significa anche poter stare continuamente in rapporto con i propri figli, che è il cardine del corretto sviluppo cognitivo. Ad esempio: se ho un problema al lavoro che mi rende pensierosa, di sicuro non lo risolverò rispondendo male al bambino che mi sta chiamando o mettendolo davanti al computer per non essere disturbata. In questo modo sto solo aggiungendo al problema del lavoro, anche un probabile problema di sviluppo cognitivo di mio figlio.
Quando i medici parlano di deficit dell’attenzione, ovvero il bambino che si distrae facilmente, che non ascolta, che è con la testa fra le nuvole, stanno parlando di un bambino che riceve sistematicamente un atteggiamento di distrazione, di assenza psichica dalla famiglia (dalle relazioni umane) per cui poi è portato ad assumere esattamente lo stesso atteggiamento distratto, assente, anaffettivo. Un atteggiamento che è più visibile nei bambini perché non hanno ancora il senso del “dovere” e la razionalità tipica dell’adulto che “fa fare” anche contro il proprio sentire.
Un’ora di lezione per il recupero della matematica o dell’italiano fatta con una docente che pensa ai fatti suoi (perché non lavora con una teoria pedagogica) e pertanto pensa che la didattica sia unicamente la spiegazione della regola grammaticale o aritmetica, è decisamente fuori strada. Come fuori strada sono i medici che imputano questo problema a questioni genetiche o neurobiologiche. Un bambino che ha difficoltà nella lettura perché non ha capacità di concentrazione, è un bambino che ha bisogno di una docente che sappia essere presente con la testa, con il pensiero, con le parole giuste dette al momento giusto, con una teoria pedagogica corretta, altrimenti il bambino non recupera.
Ma se si è arrivati a dover attuare un recupero cognitivo didattico ovvero della conoscenza, del sapere, significa che qualcuno (famiglia e/o docente) nella relazione con il bambino, durante il suo sviluppo, è stato psicologicamente assente, ha pertanto impedito che la relazione umana, principale imputata nel corretto sviluppo cognitivo, svolgesse la sua funzione.
Spesso devo far notare alle mamme o ai papà che quella carenza di pensiero nella relazione con i figli (che a parole mi stanno negando), non me la possono in realtà nascondere, perché è la stessa assenza di pensiero che propongono nella relazione con me. Il loro atteggiamento nel nostro argomentare è di freddezza e distanza o di non ascolto di quanto vado loro dicendo. Ma tutto questo è ovviamente palese per chi ha voglia e capacità di entrare in rapporto con gli altri, chi sa sentire, prima ancora che vedere*. Capacità empatica e relazionale sono necessarie a chi si occupa di crescita e formazione.
Le motivazioni di questa assenza degli adulti, a grandi linee, sono dovute a: problemi psicologici; familiari; per questioni di egoismo; o per “ignoranza” pedagogica. Situazioni queste che i genitori stessi con un pizzico di autocritica possono riconoscersi e intervenire su se stessi.
Per approfondire un po’ possiamo dire che i problemi psicologici li hanno genitori che a loro volta hanno avuto genitori anaffettivi, freddi, aggressivi, violenti, lutti e tragedie familiari non risolte, malattie gravi e altro che andranno risolti con lo psicoterapeuta.
I problemi familiari sono imputati a separazioni mal riuscite, violenza domestica, gravi problemi economici, di abitazione ecc, che dovranno risolvere in famiglia e/o con lo psicoterapeuta.
Per egoismo intendo genitori che, al centro della loro vita e prima dei figli, mettono il lavoro, la palestra, gli amici, i propri interessi di vario genere e che dovranno risolvere con la propria coscienza.
Per l’ignoranza pedagogica, quasi legittima — dato che nessuno ci insegna a crescere i nostri figli come invece avviene in Venezuela —, c’è il pedagogista che può appunto indirizzare la famiglia nella crescita dei figli attraverso due o tre incontri al massimo.
Ciò che voglio dire però, è che ogni adulto deve potersi guardare per quello che è e fa, e prendere atto del fatto che la crescita cognitiva sana dei propri figli, che si costruisce giorno per giorno, parte da mamma e papà e dalla corretta relazione che instaurano con il proprio figlio o la propria figlia. Certo non si è infallibili, i professionisti esistono per questo motivo, se qualcosa va storto si deve poter chiedere aiuto (esattamente come avviene quando abbiamo mangiato male e ci è venuto il mal di pancia).
Stesso discorso vale ovviamente per gli insegnanti. Uno sviluppo cognitivo sano del bambino parte e si costruisce da relazioni soddisfacenti. Se queste sono assenti, se il docente non entra in empatia con il bambino, potrebbe creare un blocco cognitivo al bambino e causare disturbi dell’attenzione.
Bambini interessati a ciò che fanno non hanno problemi di attenzione. Bambini amati per ciò che sono non sviluppano problemi di attenzione.
Quindi sì, va bene farsi aiutare a risolvere i problemi cognitivi matematici o grammaticali o di attenzione o di lettura dei propri figli con il professionista, anche perché docenti non ci si improvvisa, ma i migliori “pedagogisti” per la vita e lo sviluppo cognitivo dei vostri figli restate comunque e per sempre voi genitori. Con l’augurio naturalmente, che i vostri figli possano trovare sulla loro strada anche ottimi insegnanti.
Dr.ssa Tiziana Cristofari
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* Per un approfondimento di queste dinamiche si rimanda al libro Bambini senza DSA: una realtà possibile!
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Un titolo e un contenuto sicuramente contro tendenza, dato che libri e manuali sull’argomento parlano solo di come riconoscere i disturbi dell’apprendimento e quali sono gli strumenti dispensativi e/o compensativi per sostenere una realtà che, secondo la maggioranza della comunità scientifica, non ha soluzione in quanto i disturbi sarebbero causati da fattori genetici o neurobiologici.
Nel mio libro affronto scientificamente tutti questi argomenti e li smonto uno per uno dimostrando come sia improbabile quanto viene affermato. Ma soprattutto spiegando perché la comunità scientifica non ha ancora compreso o voluto comprendere, che questi “disturbi” mettono radici lì dove la scuola e la famiglia crescono figli e studenti senza una pedagogia adeguata.
Descrizione del libro
È intelligentissimo, ma il maestro mi dice che non ascolta. Legge stentatamente e la maestra mi ha detto che potrebbe essere dislessica. Non ricorda le tabelline e mi hanno detto che potrebbe essere discalculico. Mi hanno consigliato il logopedista. Mi hanno detto che dovrei portare mia figlia a fare una visita dalla neuropsichiatra infantile. Poi ho letto un suo articolo… Poi cercando su internet il significato di queste parole mi sono imbattuta nel suo sito…
È con le stesse parole che un papà arriva da una pedagogista che ha trovato la soluzione ai disturbi specifici dell’apprendimento. Inizialmente scettico, ma speranzoso — perché sua figlia, presunta dislessica, ha difficoltà relazionali con lui e un calo del rendimento scolastico —, s’imbatte in un’avventura scientifica, realistica e umana senza precedenti. Andrà alla scoperta del pensiero di medici e pedagogisti di fama mondiale che gli spiegheranno perché quello che comunemente si racconta sui disturbi dell’apprendimento non è realistico, trovandosi così involontariamente alla ricerca di una conoscenza genetica, neurobiologica, psicologica e soprattutto pedagogica di cui era profondamente allo scuro come del resto buona parte della comunità scientifica ed educativa.
Riuscirà in questo modo a capire come nascono, come si prevengono e come si superano i disturbi dell’apprendimento. Ma soprattutto imparerà come è possibile evitarli con l’applicazione di una scienza che nel tempo è stata annullata dalla politica e negata nella formazione dei nuovi docenti: la scienza pedagogica.
Oggi il 25% dei bambini di una classe viene diagnosticato con un disturbo dell’apprendimento. Dicono che il problema è genetico o neurobiologico e per questo non si può far nulla se non dispensare e/o compensare. E se così non fosse?
La dottoressa Tiziana Cristofari pedagogista e docente, con l’aiuto tratto da teorie e prassi di eminenti e riconosciuti studiosi in pedagogia, psicologia e psichiatria — tra i quali Giovanni Genovesi, Shinichi Suzuki, Howard Gardner, Lev Semënovič Vygotskij, Massimo Fagioli —, ha dimostrato come sia ampiamente improbabile che i disturbi specifici dell’apprendimento abbiano origine genetica o neurobiologica e come invece siano il frutto dell’assenza totale di pedagogia scolastica e familiare.
Codice ISBN: 9791220015424