Vi ricordate quando gli insegnanti dicevano:
- è intelligente ma non si applica;
- potrebbe fare di più ma è spesso distratto;
- non ascolta quello che dico e quindi poi non sa cosa deve fare;
- fa molti errori di grammatica, dovrebbe esercitarsi di più;
- non legge ancora bene, dovrebbe leggere di più;
- non ha voglia di studiare;
- scrive male, dovrebbe fare più esercizio con le righe giuste e nei quadretti grandi;
- deve studiare di più le tabelline perché ancora non le conosce bene;
- non ragiona è sempre con la testa fra le nuvole altrimenti sarebbe bravissimo;
Credo che pochissimi genitori avranno il “piacere” di sentirsi dire ancora oggi le affermazioni scritte nel primo elenco. Espressioni che sì, scaricavano un po’ l’attività didattica sulla famiglia, ma almeno avevano la decenza di sollevare un problema senza far passare il bambino o la bambina per un “cognitivamente diverso”, giusto per non dire “malato” che non convince nessuno, almeno idealmente.
Ora non esiste più il bambino bravo che si applica e quello meno bravo che non si applica; oggi esiste la bambina brava e che si applica e il “cognitivamente diverso”.
La società odierna ha cancellato letteralmente tutte le sfumature di grigio delle realtà individuali, soprattutto emotive, dei bambini.
Ma la verità sulle motivazioni delle difficoltà scolastiche sono diverse e passano per:
- genitori violenti fisicamente e/o oggi soprattutto verbalmente anche nelle migliori famiglie;
- atti educativi errati di varia natura che passano per lo studio, per il gioco, per lo sport, ecc.;
- situazioni individuali di cattive relazioni insegnanti/allievi;
- poca pazienza da parte degli insegnanti con i bambini più lenti;
- cattiva e inefficace didattica;
- schernire (deridere) e denigrare (danneggiare) i bambini se non sono abbastanza veloci, abbastanza attenti, abbastanza intelligenti, abbastanza magri, abbastanza belli, abbastanza ordinati, ecc.;
- totale mancanza di fiducia nei vostri figli o studenti;
- poca pazienza o voglia o possibilità per i genitori di seguirli nelle attività scolastiche per le difficoltà incontrate;
- violenza verbale tra genitori in crisi coniugale;
- disattenzione e indifferenza da parte della famiglia;
- anaffettività familiare;
- solitudine;
- problemi di salute;
- periodi difficili dati da lutti e altri eventi traumatici familiari;
- cambi di residenza;
- difficoltà relazionali tra pari (bullismo);
- povertà economica e morale della famiglia;
- droga in famiglia;
- alcolismo in famiglia;
- e tutto quello che vi viene in mente di negativo nella vita di relazione tra le persone.
Noi pedagogisti, con una formazione a tutto tondo sull’essere umano (pedagogia, psicologica, antropologia, didattica, sociologia, filosofia ecc.) conosciamo bene le implicazioni di tali atteggiamenti nella vita di un bambino. Comportamenti non idonei all’ottimale crescita di un figlio possono portare a difficoltà in ambito cognitivo e prestazionale, ma sembra che nessuno (medici compresi) ne voglia tener conto, mentre invece sia diventata prassi patologizzare i bambini. Questo perché giustifica gli adulti sulla motivazione di scarso rendimento dei propri figli e studenti, e trova un colpevole a cui non poter scaricare la colpa stessa: il neurone o gene capriccioso che nessuno conosce e di cui non vi è mai traccia né prova — con esami clinici — se non ipotetica, della sua colpevolezza.
Se non si prende coscienza di tutte queste realtà contingenti e per lo più transitorie sopra descritte — che costringerebbero genitori e insegnanti a mettersi in discussione e ad assumersene le responsabilità, valutando con obiettività la strada da intraprendere —, non resta altro che affidarsi come indicano i medici impreparati, ai logopedisti. Quest’ultimi sono inutili per due o tre motivi: se il problema è un gene o un neurone, non possono intervenire. Se è un fattore ambientale allora non hanno alcuna preparazione in tal senso, né conoscenza della pedagogia (crescita e formazione), né della didattica (strumenti per il recupero delle materie). Pertanto proprio non capisco come possano essere indicati come coloro i quali porre un rimedio alle carenze scolastiche. Illuminatemi!
Un tempo quando la famiglia si ritrovava con un figlio poco bravo a scuola, per chi ne aveva la possibilità, la strada era quella di far venire un docente a casa che si facesse carico del recupero nelle materie carenti. Se il docente era bravo e il bambino superava le difficoltà tutto andava per il meglio, se ciò non accadeva si diceva che il bambino era uno svogliato, ma in quanto figlio di ricchi «può considerare la laurea una specie di diploma di famiglia, trasmissibile di padre in figlio, come ornamento decorativo di una agiatezza che lo assiste e lo accompagna fin dalla culla, e che lo aiuta a spianargli tutti gli ostacoli, compreso il difetto di vocazione e perfino quello di intelligenza*». Tutti gli altri restavano ciucci, ma la loro autostima era salva.
Vi vorrei far notare che anche adesso, con le certificazioni, il discorso non è cambiato come in tanti vorrebbero far credere. Una volta certificato, il bambino ha diritto anche al logopedista della mutua è vero, ma come abbiamo detto, non serve a nulla e la loro autostima è oramai compromessa. Quelli che hanno invece la possibilità economica si cercano altre strade e forse, mettendosi in discussione, daranno ai propri figli delle possibilità in più.
L’unica realtà che accomuna entrambi i genitori (ricchi o poveri), è per quell’alleggerimento psicologico di pensare che forse il proprio pargolo non raggiunge certi risultati perché ha “qualcosa che non va”, e proprio per questo possono sentirsi e dichiararsi esenti da ogni responsabilità genitoriale in merito alla formazione, concedendo ai propri figli di arrivare al diploma con la compassione dei docenti. Meglio di niente, giusto? Ma queste famiglie hanno pensato alle conseguenze nel futuro dei propri figli?
Quello a cui genitori e insegnanti (per quest’ultimi dal punto di vista deontologico) non hanno forse mai pensato è il danno che causano a questi bambini negando la realtà dei fatti e la possibilità di una conoscenza e formazione come quella degli altri studenti (anche se raggiunta con più fatica). Questa formazione gli servirà quando saranno adulti e resteranno soli, quando non ci sarà più né il genitore né l’istituzione scolastica a giustificarli e proteggerli, ma verranno fagocitati nel mondo del lavoro, della competizione e del potere a tutti i livelli.
Le famiglie non pensano che certificare significa semplicemente arrivare a superare l’anno scolastico essendo stati compensati o dispensati su ciò che ai propri figli non è stato permesso di provare a imparare. Questi genitori si sentiranno contenti di avere bambini “sereni” di non fare e nemmeno di tentare di fare. Renderanno i loro figli “felici perché non costretti a lavorare” ma diversi dagli altri, a scapito di un futuro difficile e da emarginati. È questo che volete?
Dr.ssa Tiziana Cristofari
© Tutti i diritti riservati
*Da un discorso in Parlamento di Calamandrei, tratto da: Piero Calamandrei, Per la scuola (2008).
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Un titolo e un contenuto sicuramente contro tendenza, dato che libri e manuali sull’argomento parlano solo di come riconoscere i disturbi dell’apprendimento e quali sono gli strumenti dispensativi e/o compensativi per sostenere una realtà che, secondo la maggioranza della comunità scientifica, non ha soluzione in quanto i disturbi sarebbero causati da fattori genetici o neurobiologici.
Nel mio libro affronto scientificamente tutti questi argomenti e li smonto uno per uno dimostrando come sia improbabile quanto viene affermato. Ma soprattutto spiegando perché la comunità scientifica non ha ancora compreso o voluto comprendere, che questi “disturbi” mettono radici lì dove la scuola e la famiglia crescono figli e studenti senza una pedagogia adeguata.
Descrizione del libro. È intelligentissimo, ma il maestro mi dice che non ascolta. Legge stentatamente e la maestra mi ha detto che potrebbe essere dislessica. Non ricorda le tabelline e mi hanno detto che potrebbe essere discalculico. Mi hanno consigliato il logopedista. Mi hanno detto che dovrei portare mia figlia a fare una visita dalla neuropsichiatra infantile. Poi ho letto un suo articolo… Poi cercando su internet il significato di queste parole mi sono imbattuta nel suo sito… È con le stesse parole che un papà arriva da una pedagogista che ha trovato la soluzione ai disturbi specifici dell’apprendimento. Inizialmente scettico, ma speranzoso – perché sua figlia, presunta dislessica, ha difficoltà relazionali con lui e un calo del rendimento scolastico -, s’imbatte in un’avventura scientifica, realistica e umana senza precedenti. Andrà alla scoperta del pensiero di medici e pedagogisti di fama mondiale che gli spiegheranno perché quello che comunemente si racconta sui disturbi dell’apprendimento non è realistico, trovandosi così involontariamente alla ricerca di una conoscenza genetica, neurobiologica, psicologica e soprattutto pedagogica di cui era profondamente allo scuro come del resto buona parte della comunità scientifica ed educativa. Riuscirà in questo modo a capire come nascono, come si prevengono e come si superano i disturbi dell’apprendimento. Ma soprattutto imparerà come è possibile evitarli con l’applicazione di una scienza che nel tempo è stata annullata dalla politica e negata nella formazione dei nuovi docenti: la scienza pedagogica.
Oggi il 25% dei bambini di una classe viene diagnosticato con un disturbo dell’apprendimento. Dicono che il problema è genetico o neurobiologico e per questo non si può far nulla se non dispensare e/o compensare. E se così non fosse?
La dottoressa Tiziana Cristofari pedagogista e docente, con l’aiuto tratto da teorie e prassi di eminenti e riconosciuti studiosi in pedagogia, psicologia e psichiatria – tra i quali Giovanni Genovesi, Shinichi Suzuki, Howard Gardner, Lev Semënovič Vygotskij, Massimo Fagioli -, ha dimostrato come sia ampiamente improbabile che i disturbi specifici dell’apprendimento abbiano origine genetica o neurobiologica e come invece siano il frutto dell’assenza totale di pedagogia scolastica e familiare.
Codice ISBN: 9791220015424
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