Quando mia sorella cominciò a fare i primi passi, un pediatra la voleva operare perché camminava in punta di piedi. Dichiarò che i tendini del piede tiravano e le impedivano una corretta postura. Mia madre chiese un altro consulto e il nuovo pediatra le disse che molti bambini camminano sulle punte dei piedi quando muovono i primi passi. Così, rassicurata, non fece nulla e aspettò che mia sorella lentamente assumesse la posizione giusta con la giusta maturità del corpo. Oggi inutile dire che cammina benissimo.
Io stessa all’età di 10 anni mi sono rotta la tibia prendendo una storta e cadendo malamente. Fatta la radiografia, dopo aver tolto il gesso, i medici dell’ospedale si accorsero che nel punto in cui la gamba si era fratturata c’era un buco. Dissero che se non mi operavano subito, dopo poco tempo avrei avuto nuovamente la gamba rotta. Ancora una volta mia madre chiese un consulto con un altro ortopedico il quale dichiarò che quel “buco” nell’osso si sarebbe rimarginato presto da solo, e così fu. La sua calma e i successivi consulti evitarono per la seconda volta un intervento chirurgico troppo frettoloso.
Credo che ognuno di noi abbia delle storie di mala sanità da raccontare, io stessa potrei andare avanti ancora, ma vi annoierei. Allora perché vi racconto questo?
Vorrei spiegarvi come è possibile che un professionista possa commettere errori, spesso gravi, grazie a una politica opportunistica.
La mia attività è al limite tra ciò che dovrebbe essere considerato un atto sanitario e ciò che mi appartiene come specialista in pedagogia, ovvero la prassi e la valutazione della crescita cognitiva e dell’apprendimento dei bambini per il loro sviluppo ottimale. Mi spiego meglio.
Vivendo questioni scolastiche tutti i giorni, noi pedagogisti che siamo specialisti nella docenza, lo sappiamo bene come funziona la diagnosi del disturbo dell’apprendimento. Ma con la nuova finanziaria 2019 lo sapremo ancora meglio: infatti hanno deciso di dare più competenza, per la diagnosi dei disturbi dell’apprendimento, ai docenti. Una vera pazzia! Il nuovo governo continua, sulla scia dei precedenti, a pensare che i docenti debbano essere “indottrinati” a sapere tutto (anche far diagnosi), per non conoscere effettivamente niente, neanche delle loro specifiche competenze. (Credo comunque che questa legge sia stata fatta per alcune case editrici specifiche che vendono libri e corsi ai docenti sulla diagnosi precoce dei disturbi dell’apprendimento, anziché vendere libri e corsi su come diventare competenti nella docenza che ovviamente interessa molto meno data la saccenza di molti dei nostri docenti, oltre che ovviamente a far circolare l’economia con farmaci e sedute interminabili da logopedisti, psicologi ecc.). Considerata l’inutilità di questa manovra che vorrebbe disciplinare l’argomento “disturbi”, e la modalità con cui si continua a scaricare il problema sui bambini, anziché sulla preparazione dei docenti e su come vengono cresciuti in famiglia, mi sono fatta l’idea che il governo voglia far rimanere i professionisti e non solo, poco coscienti e poco competenti: infatti, i medici sono diventati anche insegnanti e gli insegnanti da quest’anno diventeranno medici. Il tutto in una confusione senza precedenti dove chi ci rimette sono i bambini e le loro famiglie.
Come fa la politica a togliere le competenze professionali.
Nella specializzazione medica dopo un certo numero di anni per diventare medico generico, i dottori in medicina prendono una specializzazione in un campo ben preciso, in una disciplina specifica del corpo umano: cardiologia, piuttosto che gastroenterologia, piuttosto che ortopedia e via cantando. Chissà se gli uomini e le donne della politica di oggi, che hanno dimostrato di non eccellere nella loro preparazione, si sono resi conto del perché un medico debba prendersi una specializzazione in un campo preciso della medicina. Provo ad azzardare un’ipotesi: forse perché specializzarsi significa approfondire una competenza? Vuol dire saperne di più su quello specifico argomento, in quel campo di indagine e curare in modo corretto? Forse poter dimostrare la vera competenza potrebbe diventare un problema per gli ignoranti?
La pedagogista ad esempio, ha una competenza specifica che però si continua ad ignorare nonostante la legge ci riconosca, ma solo su carta ovviamente! Pedagogia e pedagogista nelle scuole sono per la politica un vero problema da tenere a bada! E molto elegantemente lo fanno.
La pedagogista è un’esperta della crescita e lo sviluppo dell’essere umano, nel comprendere le dinamiche della capacità di apprendimento degli studenti, e pertanto nell’affrontare con competenza ogni impasse per uno sviluppo cognitivo adeguato e proficuo; ha studiato per capire perché esiste e dove nasce eventualmente un problema che il bambino può incontrare in ambito scolastico o familiare. La sua laurea in ambito formativo le permette di avere l’occhio “clinico” (passatemi il termine), ovvero le permette di avere la capacità di valutare il perché e per come delle difficoltà scolastiche di un bambino. Difficoltà che non partono dal bambino stesso, ma il più delle volte sono dovute da una cattiva relazione ed educazione che il mondo adulto ha costruito con lui, o da una incapacità degli insegnanti di spiegare la loro materia scolastica, di gestire le relazioni in classe tra bambini, e pertanto di permettere o meno, una crescita cognitiva idonea degli studenti.
Bisogna smettere di pensare che l’insegnante non ha “ruolo” nelle difficoltà cognitive dei bambini. Non a caso Maria Montessori, valutava e istruiva le docenti sulle loro competenze.
Sono sicuramente tra le poche professioniste oggi in Italia a pensare che i cosiddetti disturbi dell’apprendimento siano molto il frutto di una società che preferisce puntare il dito sui bambini, anziché formare uomini e donne consapevoli dei propri ruoli genitoriali e istituzionali, oltre che delle proprie competenze. Questa politica, è bene saperlo, preferisce lasciare uomini e donne ignoranti, incapaci di usare la testa, incapaci quindi di scegliere e di vedere a chi si sta dando il potere per mezzo del voto politico.
Se ne parla tanto dell’analfabetismo di ritorno, ovvero del fatto che, dopo il diploma o la laurea, le persone la maggior parte delle volte non prendono più un libro in mano. Però, nonostante questo, ci sentiamo saccenti, pensiamo di sapere tutto del mondo, perché lo abbiamo sentito o letto in tre righe su internet, perché ce l’ha detto il nostro vicino di casa o perché abbiamo fatto un corso di sei ore che ci fa sentire come fossimo un professionista della disciplina. Ci sentiamo di sapere, di conoscere tutto ciò che ci interessa, e invece non ci rendiamo conto che non sappiamo un bel niente; ci interessiamo di tutto in modo frettoloso con internet, ma poi il risultato è che non sappiamo assolutamente niente. Una delle evidenze più reali di questo atteggiamento sta nella grande percentuale di persone che pensa di curarsi senza interpellare il medico, ma solo leggendo qualche riga su internet.
Sapete perché siamo a questo punto? Semplicemente perché non leggiamo i libri in modo approfondito e specifico. E sapete perché non leggiamo? Perché fin da piccoli ci hanno fatto odiare la scuola, ci hanno fatto odiare la cultura e i libri.
Ai bambini di oggi ad esempio, diciamo che non sono in grado di fare; diciamo loro che hanno problemi di apprendimento; per cui ogni singola difficoltà nella lettura, nella scrittura, nel calcolo, la bolliamo come un impedimento, la dichiariamo come un problema, come una malattia, come un qualcosa che non si può superare perché risiede nel loro cervello. E lì, facciamo morire i nostri bambini.
Come ha fatto la politica a farci odiare la scuola, la cultura, i libri.
Ci hanno fatto credere che in fondo nostro figlio è come il padre, come la madre, anche loro avevano problemi di lettura o nel calcolo, e tutto questo, ce lo fanno passare per genetica, nonostante le numerose smentite dei genetisti e dei biologi…
Quando invece la questione si annida nell’antipatia per lo studio e la conoscenza, che ci hanno instillato prima a noi adulti e che adesso la trasferiamo ai nostri figli. Siamo noi che trasmettiamo l’odio per la scuola, per lo studio e la cultura. Noi che con il nostro atteggiamento aggressivo e violento nei confronti di figli e studenti che non sono come avremmo voluto, rovesciamo addosso a loro la nostra rabbia, la frustrazione. Noi, che ci hanno insegnato ad essere autoritari e prepotenti sulle differenze e le lentezze dell’altro, noi, che ci hanno insegnato l’intolleranza per la diversità, che ci hanno insegnato a competere sempre e per ogni circostanza: la scuola, la bellezza, l’intelligenza, il possesso di oggetti all’avanguardia come giochi elettronici, automobili, vestiti; noi, che ci hanno insegnato a disprezzare i libri, passiamo a nostra volta il messaggio che in fondo quello che ci serve, senza fatica, lo troviamo da un’altra parte, lo troviamo ancora più facilmente con una certificazione.
Oramai il messaggio negativo che studiare non serve più per cambiare la nostra posizione sociale, magari con un buon lavoro, è insito dentro di noi, fa parte del nostro corredo “genetico”… sarebbe capace di dire qualcuno… Ma badate, questo vale solo per la classe medio-bassa, perché vi faccio notare che i figli della classe alta, dopo aver studiato, il posto di lavoro ce l’hanno comunque. A tutti gli altri invece, si passa il messaggio squalificante che studiare non serve più, che è meglio frequentare un istituto tecnico, piuttosto che imparare storia, latino e greco. Il lavoro non c’è, ci dicono come un mantra. La scuola è brutta, è per pochi e costa fatica.
E tutti questi discorsi li troviamo giornalmente alla televisione, nei talk show, nei programmi spazzatura fatti da persone colte, per instupidire sempre di più il meno colto. E noi li ascoltiamo, perché li troviamo facili e facilmente accessibili alle nostre menti stanche, svogliate, che non vogliono faticare, perché ci hanno abituato ad avere tutto e subito: in fondo non siamo forse nell’era digitale? Mentre lo studio, la lettura, la concentrazione per capire nuove cose e sviluppare l’apprendimento, ahimè è fatica!
Ma senza fatica ci prendono anche in giro! Ci illudono che il mondo sia tutto lì, che la conoscenza sia solo quella che ci propongono loro in tre righe trovate sul web. E questo lo trasmettiamo ai nostri figli. Siamo arroganti, molto arroganti, ci sentiamo di essere a conoscenza di ogni realtà. E quell’arroganza è proprio il frutto della nostra ignoranza. Non a caso Socrate (persona lui sì, molto colta) scriveva di “sapere di non sapere”.
Vi invito a cercare nel vostro passato per accorgervi di come da piccoli vi hanno fatto odiare la scuola, vi hanno fatto odiare i libri. Ci hanno fatto odiare ciò che ci rende liberi e consapevoli di ciò che siamo e che ancora non sappiamo. E vi invito a ribellarvi con la lettura dei libri, con la cultura, a questa coercizione forzata del non puoi, non devi, è meglio che tu non sappia. E vi invito a farlo con l’unico potere che realmente è nelle vostre mani e, grazie alle biblioteche, nelle tasche di tutti.
Nel passato recente la classe politica ci ha fatto odiare i libri e la cultura, per escludere il popolo dai posti di comando. E lo facevano “bocciando” direttamente tutti coloro che non rendevano a scuola: i figli dei poveri, degli operai, insomma della classe medio-bassa. Solo qualcuno, ad un prezzo altissimo si distingueva dagli altri. Lo stesso Piero Calamandrei affermava: « E non si riesce a comprendere come si possa chiamare allo stesso modo fabbro della propria fortuna il figlio dei poveri che può arrivare alla cultura solo a prezzo di questi eroismi, e il figlio dei ricchi, che può considerare la laurea una specie di diploma di famiglia, trasmissibile di padre in figlio, come ornamento decorativo di un’agiatezza che lo assiste e lo accompagna fin dalla culla, e lo aiuta a spianargli tutti gli ostacoli, compreso il difetto di vocazione e perfino quello di intelligenza»*.
I figli della classe medio-bassa del passato erano studenti che venivano giudicati svogliati. E se vi dicessi che non esistono studenti svogliati? Ma questo argomento lo tratterò in altro articolo.
Chi decide oggi quindi, la nostra cultura.
Oggi ai piani alti ci sono arrivati anche, e forse soprattutto, coloro che non hanno mai studiato. Ed hanno preso il potere contando proprio su tutti coloro che non hanno studiato, grazie all’indottrinamento possibile solo per gli analfabeti di ritorno (e mi scuso se qualcuno si sente preso in causa!). Allora che cosa si sono inventati uomini senza cultura, ma che si muovono esattamente come chi è sempre stato al potere approfittando della cultura. Si sono inventati un altro modo per impedire che la cultura possa appartenere a tutti. Se prima si parlava di bambini svogliati per respingerli, per non farli arrivare ai posti di potere, oggi, che non si boccia più, che c’è il buonismo (come scioccamente molti lo hanno definito), ci dicono che i bambini sono malati, dicono che hanno il disturbo dell’apprendimento. Siamo passati dallo svogliato al malato, senza renderci conto che quei bambini sono sempre gli stessi, appartengono sempre alla classe sociale medio-bassa. Insomma abbiamo trovato una giustificazione alla nostra incapacità di permettere ai bambini di imparare ad amare la scuola (magari formando in modo più idoneo i giusti insegnanti). Abbiamo trovato una giustificazione alla nostra incapacità di insegnare ai bambini ad amare i libri, ad imparare a diventare donne e uomini liberi e consapevoli.
La politica permette, anzi incentiva, gli errori ai professionisti.
All’inizio abbiamo parlato di medici che sbagliano. Mi rifiuto di pensare che sbagliano consapevolmente, sarebbero terroristi (magari qualcuno c’è, ma sono mosche bianche). Sbagliano piuttosto perché non conoscono la loro disciplina. Sbagliano, perché forse dovrebbero fare un altro mestiere o più formazione su se stessi. Il medico che sbaglia commette un atto gravissimo sulla persona e ben visibile. Un insegnante che sbaglia invece è difficile da dimostrare, direi quasi impossibile per come sono le cose oggi in Italia. Un politico che sbaglia, scarica il problema sulla gestione passata o sull’impossibilità di fare ciò che vorrebbe. Un politico che sbaglia è facilmente perdonabile se chi lo vota non ha gli strumenti per comprendere fino in fondo il pensiero politico che lo muove.
Nella scuola, in virtù di questo e di molto altro (come ad esempio gli interessi economici), si sono inventati le patologie, i disturbi dell’apprendimento, che però, non sono dimostrabili. E sì, i disturbi dell’apprendimento non sono dimostrabili, anche se poi la diagnosi ce la mettono per iscritto. Ma quella diagnosi non ci dice il perché, ci dice solo che il bambino è, in quel momento, in un certo modo, ma senza alcuna prova scientifica di ciò che si afferma e senza dirci come potrà essere domani. Non c’è analisi del sangue o risonanza magnetica in grado di accertare quanto il medico va sostenendo. Quindi la diagnosi è solo un’ipotesi del medico, che non conosce né il metodo formativo, né la didattica, ma direi neppure la relazione pedagogica (strumento fondamentale per l’apprendimento ad ogni età). Ma non solo, la genetica non ha provato nulla di quanto va affermando già da un po’ di tempo in piena contraddizione anche tra i biologi stessi; esattamente come non è stata capace di provare nulla la neurobiologia.
Dire che i propri figli hanno un disturbo dell’apprendimento ci deresponsabilizza tutti: ogni adulto, dalla famiglia alla scuola, è sollevato dal problema; perché se il problema risiede nel cervello del bambino, e non c’è una “pasticca” che lo possa risolvere, ogni adulto che gli gira intorno è assolto dalla responsabilità e quindi dal problema.
Come pedagogista, come esperta nel settore educativo scolastico e didattico, dico ai genitori che sbagliate se accettate passivamente una valutazione errata sulle capacità di apprendimento dei vostri figli. E dico agli insegnanti che i bambini, in assenza di lesioni organiche, non hanno alcun disturbo dell’apprendimento se non la nostra incapacità di passare a loro le informazioni con la giusta relazione educativa e la giusta didattica. Le difficoltà che i vostri figli e studenti incontrano nell’approccio alle materie di studio sono eventualmente su base psicologica, e pertanto, rientrano in una cattiva relazione con il mondo adulto, perché la psicologia basa tutta la sua realtà scientifica sulla relazione umana. La plasticità del cervello dei bambini è tale che il corretto rapporto educativo, e pertanto pedagogico, è sufficiente, se correttamente posto e con una didattica specifica, a colmare le lacune scolastiche dei bambini che arrivano o percorrono la scuola dell’obbligo con difficoltà.
Prima di accettare passivamente insegnanti e medici ignoranti che dichiarano la distruzione mentale dei nostri figli e studenti, abbiate il coraggio di andare fino in fondo alla conoscenza.
Dr.ssa Tiziana Cristofari
© Tutti i diritti riservati
*P. Calamandrei, Per la scuola, Sellerio Editore