Partendo dalla convinzione che i cosiddetti disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, discalculia, disortografia, ADHD) sono superabili — fatta eccezione per percentuali bassissime e per specifiche patologie quali ad esempio l’autismo su base genetica, ma non ad esempio su quello psicogeno, ovvero su base epigenetica —, e tenuto conto di quanto la pedagogia può fare con la didattica e una corretta relazione pedagogica nello sviluppo cognitivo dei piccoli, dobbiamo ribadire come le difficoltà dell’apprendimento sarebbero il risultato di una cattiva formazione/comunicazione/didattica tra il mondo adulto e il bambino che apprende. In funzione di questo ho sentito la necessità di fare alcuni chiarimenti per quando riguarda il primissimo approccio dei bambini alla lettura e al calcolo.
Mi capita spessissimo di sentire genitori e purtroppo anche docenti ostacolare il primo apprendimento alla lettura o al conteggio con luoghi comuni, oggi ampiamente sfatati, ma ancora terribilmente in auge tra coloro che sapendo contare e leggere hanno la presunzione di sapere anche “insegnare” come leggere e far di conto.
Ora. Sono errori ripeto, comuni, fatti in buona fede, ma quando lo faccio presente, molto spesso, vengo guardata come se fossi una marziana che vuole far regredire il progresso scolastico (sempre se c’è stato!).
Partiamo innanzitutto dalla parte pedagogica relazionale ed emotiva del bambino, sostenendo ancora una volta che l’attività di apprendimento deve avvenire in un clima di assoluta serenità, fiducia e realizzazione del desiderio di fare. Se, al contrario, si grida, si perde la pazienza, si dice continuamente “hai sbagliato” rimproverando e giudicando, deludendo quindi il desiderio di apprendimento, lo stesso non avviene e non si consolida. Questo perché quando il bambino dovrà esprimere ciò che ha tentato di apprendere, ricorderà più la paura e la tensione, la delusione del desiderio, che le nuove competenze.
Ma quello che in questo articolo mi preme affrontare è la parte più propriamente didattica dell’apprendimento della lettura e del calcolo.
Se voi provate ad immaginare un cerchio e mentalmente provate a disegnarlo con i vostri occhi davanti a voi, vi accorgerete che gli occhi, per disegnarlo, procedono a scatti, perché seguono quelli che vengono definiti dagli studiosi della mente, punti di fissità. Ma se ora provate a immaginare e disegnare mentalmente lo stesso cerchio davanti a voi, ma questo disegno lo accompagnate dal dito di una mano, vi accorgerete che l’occhio non proseguirà più a scatti, ma procederà in modo fluido.
Perché vi racconto questo? Perché vorrei farvi capire l’importanza che l’utilizzo del dito ha nella lettura. Non è assolutamente vero che i bambini devono imparare a leggere senza il dito. Leggere senza il dito implica una ulteriore difficoltà al già difficile compito dell’apprendimento: ovvero, ricordare la lettera dell’alfabeto, associarla a quella vicina spesso cambiandone il suono, tenere la riga giusta in modo astratto (ovvero senza il dito) e tentare lentamente di far diventare tutto ciò un automatismo. Quando il bambino (ma anche l’adulto) legge senza il dito, l’occhio, incontrando una parola, poi uno spazio, poi una parola più lunga o più corta, poi ancora una volta uno spazio e così via procedere a scatti impedendo al cervello di ricevere la fluidità di cui ha bisogno per andare più veloce e per agevolare tutte le altre attività cognitive citate.
L’altro mito da sfatare è il conteggio sulle dita.
Ancora una volta come vedete sono imputate le dita. Come se fossero qualcosa di sporco, da non usare; come se la mente dovesse rimanere distante dal corpo, come se fossero elementi separati anziché un’unità indissolubile di crescita e sviluppo delle capacità fisiche e cognitive che devono e possono sviluppare insieme. Si impone così alla bambina una frustrazione che toglie, nega, impedisce la libera, spontanea ed efficace crescita, arrivando poi a parlare anche di disprassia (difficoltà nel movimento), quanto invece siamo noi a ostacolare un corretto sviluppo. Dobbiamo tenere presente che coercizzando i nostri bambini con pensieri vecchi e senza fondamento scientifico, impediamo loro un libero e naturale sviluppo fisico e mentale.
Ma torniamo al conteggio. I popoli nel Medioevo sentendo la necessità di tenere un rudimentale conteggio dei beni materiali, sono arrivati a servirsi in modo spontaneo delle dita delle mani, degli arti e delle diverse parti del corpo umano. Essi non avevano l’idea astratta del numero dieci (come la possediamo noi oggi), ma sapevano che toccandosi in sequenza il mignolo, l’anulare, il medio, l’indice e il pollice della mano destra, poi il polso, il gomito, la spalla, l’orecchio e l’occhio dallo stesso lato, potevano elencare una raccolta di dieci oggetti. Non solo dobbiamo tenere presente che il modo di “contare” utilizzando le parti del corpo, sono da considerarsi un’evoluzione culturale rispetto a metodi utilizzati in precedenza (come ad esempio l’accumulo di sassi o conchiglie), perché così facendo, introdussero la nozione di successione che non avevano. Prima di questo metodo utilizzavano solo il cosiddetto principio della corrispondenza biunivoca (ovvero corrispondenza uno a uno). Considerando invece la stessa sequenza di parti del corpo prestabilite (come oggi dovrebbero fare i bambini con le dita), la successione, grazie all’abitudine e alla memoria, finisce per diventare sempre più astratta*.
Quindi per arrivare all’astrazione matematica (ovvero al conteggio senza l’utilizzo delle dita che pretendiamo dai nostri bambini come fosse uno strumento acquisito fin dalla nascita e non lo è), bisogna abituare la mente all’utilizzo delle dita stesse.
Dr.ssa Tiziana Cristofari
© Tutti i diritti riservati
* Testo consultato per riferimenti matematici: Lucangeli, Psicologia della cognizione numerica.
attraverso il web tramite il nostro sito con PAYPAL
Un titolo e un contenuto sicuramente contro tendenza, dato che libri e manuali sull’argomento parlano solo di come riconoscere i disturbi dell’apprendimento e quali sono gli strumenti dispensativi e/o compensativi per sostenere una realtà che, secondo la maggioranza della comunità scientifica, non ha soluzione in quanto i disturbi sarebbero causati da fattori genetici o neurobiologici.
Nel mio libro affronto scientificamente tutti questi argomenti e li smonto uno per uno dimostrando come sia improbabile quanto viene affermato. Ma soprattutto spiegando perché la comunità scientifica non ha ancora compreso o voluto comprendere, che questi “disturbi” mettono radici lì dove la scuola e la famiglia crescono figli e studenti senza una pedagogia adeguata.
Descrizione del libro. È intelligentissimo, ma il maestro mi dice che non ascolta. Legge stentatamente e la maestra mi ha detto che potrebbe essere dislessica. Non ricorda le tabelline e mi hanno detto che potrebbe essere discalculico. Mi hanno consigliato il logopedista. Mi hanno detto che dovrei portare mia figlia a fare una visita dalla neuropsichiatra infantile. Poi ho letto un suo articolo… Poi cercando su internet il significato di queste parole mi sono imbattuta nel suo sito… È con le stesse parole che un papà arriva da una pedagogista che ha trovato la soluzione ai disturbi specifici dell’apprendimento. Inizialmente scettico, ma speranzoso – perché sua figlia, presunta dislessica, ha difficoltà relazionali con lui e un calo del rendimento scolastico -, s’imbatte in un’avventura scientifica, realistica e umana senza precedenti. Andrà alla scoperta del pensiero di medici e pedagogisti di fama mondiale che gli spiegheranno perché quello che comunemente si racconta sui disturbi dell’apprendimento non è realistico, trovandosi così involontariamente alla ricerca di una conoscenza genetica, neurobiologica, psicologica e soprattutto pedagogica di cui era profondamente allo scuro come del resto buona parte della comunità scientifica ed educativa. Riuscirà in questo modo a capire come nascono, come si prevengono e come si superano i disturbi dell’apprendimento. Ma soprattutto imparerà come è possibile evitarli con l’applicazione di una scienza che nel tempo è stata annullata dalla politica e negata nella formazione dei nuovi docenti: la scienza pedagogica.
Oggi il 25% dei bambini di una classe viene diagnosticato con un disturbo dell’apprendimento. Dicono che il problema è genetico o neurobiologico e per questo non si può far nulla se non dispensare e/o compensare. E se così non fosse?
La dottoressa Tiziana Cristofari pedagogista e docente, con l’aiuto tratto da teorie e prassi di eminenti e riconosciuti studiosi in pedagogia, psicologia e psichiatria – tra i quali Giovanni Genovesi, Shinichi Suzuki, Howard Gardner, Lev Semënovič Vygotskij, Massimo Fagioli -, ha dimostrato come sia ampiamente improbabile che i disturbi specifici dell’apprendimento abbiano origine genetica o neurobiologica e come invece siano il frutto dell’assenza totale di pedagogia scolastica e familiare.
Codice ISBN: 9791220015424