Una volta tra i banchi di una mia quarta elementare avevo una studentessa straordinaria. Non che fosse diversa fisicamente o caratterialmente dagli altri, sappiamo bene che ognuno di loro ha le proprie peculiarità, ma lei in quarta elementare leggeva e scriveva come un adulto professionista. Era incredibile, davanti al foglio bianco lei stava lì, immobile, sembrava quasi non volesse scrivere… pensava per tanti minuti in silenzio, guardandosi intorno, quasi non sapesse cosa scrivere. Poi, all’improvviso la sua mano iniziava a muoversi e non si fermava più… e scriveva, scriveva, scriveva parole straordinariamente composte.
Poi finì la scuola e le nostre strade si separarono.
Più volte ci ho pensato: non c’era, almeno apparentemente, una spiegazione a quella bravura: era figlia di gente comune, non aveva particolari vantaggi economici, né situazioni intorno che potessero far pensare a chissà quali opportunità. Eppure la ragazzina era veramente brava. E noi insegnanti pensavamo a lei come ad una piccola bimba geniale, perché il resto della classe, nel modo di scrivere, era nettamente inferiore. Però, a dirla tutta, c’era chi la superava in matematica. Quindi lei la potevamo considerare un genio solo perché scriveva molto bene, ma poi era normalissima nelle altre materie. Nella stessa classe però, a mio avviso, c’era anche un altro piccolo genio: un’altra bambina (chiedo scusa ai maschietti, ma è solo una coincidenza, la storia parla tanto anche di voi!). Lei disegnava in modo meraviglioso, a dispetto di qualche difficoltà di esposizione dell’argomento, causa a mio parere di poco esercizio, che poteva essere ampiamente superato con l’insegnante di italiano disposta ad ascoltarla più spesso e mettendola a suo agio, ma fu subito richiesta una valutazione medica per questa difficoltà. La caratteristica speciale di questa bambina era quella di non rappresentare graficamente la realtà così com’è, come fosse una fotografia, ma di trasformarla in una sua interpretazione geniale e creativa e che purtroppo pochi insegnanti riuscivano a vedere e comprendere. Mi ricordo un episodio accaduto con la maestra di matematica mentre facevano un lavoretto per la festa del papà. Avrebbero dovuto colorare il volto di Merilyn Monroe fotocopiato in bianco e nero per poi incorniciarlo e regalarlo al papà (e anche qui mi chiedo se non fosse stato meglio regalare al papà un proprio autoritratto o quello della mamma, anziché quello di Merilyn Monroe). Comunque! La bimba interpretò quel viso a modo suo e in modo assolutamente creativo, diverso dagli altri, unico, a mio dire, speciale. L’insegnante di matematica con lei invece si arrabbiò tantissimo, perché tutti gli altri avevano colorato le copie esattamente come le avrebbero colorate tutti, ordinate e pulite; ma lei no, l’aveva meravigliosamente interpretata, pertanto era da sgridare e denigrare davanti a tutta la classe. Toccò a me poi, in separata sede, per non alterare equilibri già molto precari nelle scuole, consolarla e incoraggiarla a credere che avesse fatto qualcosa di meraviglioso e unico. Certo è, che quando un insegnante ti viene contro, è difficile credere poi a chi ti dice “vai avanti così, che sei bravissima!”, ma è importante che quella persona ci sia, sempre.
Quindi la domanda potrebbe essere scontata, ma forse solo per qualcuno. Se ogni bambino ha le sue peculiarità, come Howard Garden ha ampiamente dimostrato nel suo saggio sulla pluralità dell’intelligenza, ancora ci stiamo domandando perché tanti bambini vengono etichettati come portatori di DSA (Disturbi Specifici Apprendimento), quando quelle certe difficoltà sono solo il sintomo che il bambino esprime sull’incapacità dell’adulto di rapportarsi a lui e comprenderlo, comprenderne le peculiarità, le differenze, ma anche le sofferenze, le lentezze, la creatività non comune, l’adattamento all’ambiente, ai compagni, alle relazioni che vivono. Vogliamo poi parlare dei bambini denominati BES (Bisogni Evolutivi Speciali)? In cui rientrano naturalmente anche i DSA, ma qui nello specifico parliamo di bambini stranieri, figli di gente povera, ignorante, spesso malata, disadattati sociali (alcolisti, drogati, malavita ecc.), ecco, loro, i bambini di queste famiglie, sono comunque nati sani come tutti gli altri, ma il contesto sociale che gli ruota intorno li fa essere diversi da tutti quelli che noi definiamo nella norma. Se gli insegnanti imparassero a non vederli diversi e a non trattarli come tali, loro saprebbero dare di più, molto di più di tutti gli altri. Ma no, si preferisce pensare che debbano essere considerati diversi in maniera tale da potersene lavare le mani completamente, da non doversene occupare più, perché in fondo, molto in fondo, è più facile avere una bimba che scrive benissimo e considerarlo un nostro merito, anziché pensare di avere bambini normali con i quali dover faticare per insegnargli le regole base della lingua parlata e scritta. Un po’ mi spiace per questi insegnanti, perché non sanno quanta soddisfazione danno i bambini che riconoscono nella loro maestra una loro amica, pronta a proteggerli e accoglierli, con quel calore che spesso nemmeno nella loro casa sanno trovare.
Quando mi trovo a riformulare contenuti scolastici in modo diverso, con approcci diversi, anche comportamentali, ossia, quando entro in rapporto con loro, li ascolto, lavoro insieme a loro con mente e corpo, non solo con la presenza quindi (perché se la nostra mente non è presente quando si sta con un bambino, crea un vuoto di rapporto, che il bimbo recepisce e di conseguenza ripropone, ad esempio con la disattenzione); dicevo, quando il mio rapporto educativo e formativo cambia rispetto a un’altra maestra, o anche alla famiglia, il bambino o la bambina rispondono perfettamente, il loro pensiero è presente e attivo, la loro mente recepisce e lavora come qualunque altro. Allora perché etichettarli come dei patologici, dei disadattati, quando non lo sono? Quanti tra insegnanti e genitori si sono mai messi in discussione sul proprio operato? Quanti di voi si sono mai chiesti: “E se il problema fossi io, o la maestra, o l’ambiente?”
Continuerò a creare metodi alternativi alla didattica frontale, ossia alla didattica che tutti conosciamo: la maestra in cattedra che parla e lo studente che ascolta in silenzio. Continuerò a domandarmi dove sbaglio, cosa posso fare di più per quella bambina o bambino, o adolescente; cosa mi posso inventare per stimolare le diverse pluralità dell’intelligenza, per far sì che tutti possano trovare il loro metodo, la loro strada, la loro serenità, perché solo un bambino o un adolescente che a scuola è sereno, ci tornerà volentieri. Questo è uno dei miei principali obiettivi.
Dr.ssa Tiziana Cristofari
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Per saperne di più sulla pubblicazione del libro:
Bambini senza DSA: una realtà possibile!Come nascono, si prevengono e si superano i Disturbi Specifici dell’Apprendimento
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Tutto il programma di STORIA della scuola primaria raccontato dalla maestra Tiziana con migliaia di immagini.