Le emozioni
Si dice che le emozioni le provano tutti, ossia che ognuno di noi è in grado di provare emozioni. Darwin sosteneva che fossero biologiche e pertanto innate, Piaget che fossero essenziali per i processi cognitivi e quindi per il funzionamento della mente.
E se così non fosse? Se ci fosse chi non è capace di provare emozioni? Chi non sa come permettere ai propri figli di svilupparle? Ci sarebbero ripercussioni sulla vita dei nostri figli? Quali potrebbero essere le conseguenze della privazione dell’apprendimento e della capacità di emozionarsi? Come si sviluppano le emozioni?
Intanto iniziamo col dire che le emozioni sono delle reazioni affettive date da un evento scatenante, che si caratterizzano perché hanno:
un’intensità (più o meno elevata),
sono transitorie (ossia arrivano e passano velocemente),
sono immediate (ossia si scatenano istantaneamente con varie reazioni: 1. reazioni fisiologiche, ossia che interessano la circolazione sanguigna, la respirazione, la secrezione, ecc.; 2. reazioni espressive, ossia quelle che si manifestano con la mimica facciale, l’atteggiamento del corpo, nell’espressione verbale; e reazioni psicologiche, ossia che si esprimono modificando istantaneamente lo stato affettivo di chi prova quell’emozione, riducendo il suo controllo cosciente e lucido sul pensiero e sul comportamento.
Facciamo un esempio: se Margherita (nome di fantasia) vede per la prima volta un ragazzo bellissimo, affascinante, sentirà un’emozione forte (intensità), diventerà rossa (transitorietà e attivazione della reazione fisiologica con la circolazione sanguigna e/o con l’aumento della respirazione), spalancherà gli occhi (mimica facciale) e per ultimo si scorderà dell’appuntamento al quale stava andando, arrivando in ritardo (riduzione sul controllo cosciente e lucido: sul pensiero, con la dimenticanza e sul comportamento, con il ritardo).
Ok, bello! Tutto questo dire ci spiega cosa sono le emozioni: ma come si sviluppano?
Margherita appena nata esprime le sue emozioni con il sorriso e con il pianto. Se la bambina ha fame piangerà e quando sarà sazia, sorriderà. Ma quel sorriso o eventualmente il persistere del pianto non sono solo la soddisfazione o meno della sensazione di sazietà, Margherita esprimerà anche una soddisfazione o meno di realizzazione affettiva. Come? Facciamo un esempio: se al momento della poppata la mamma (o il papa) invece di prestare interesse a quel gesto e a quel rapporto con la figlia è intenta a guardare la televisione, trasmetterà alla bambina indifferenza e anaffettività, che Margherita percepirà continuando a piangere anche dopo la poppata. Se invece la mamma le presterà attenzione vivendo con lei l’attimo del pasto, magari cantandole una canzoncina o parlandole o accarezzandola sul faccino, ossia trasmettendo alla piccola affettività, partecipazione e sentimento, Margherita finirà la poppata soddisfatta anche del rapporto umano vissuto. Quindi la soddisfazione non sarà solo quella del bisogno di nutrirsi, ma avrà soddisfatto anche l’esigenza affettiva, che è importantissima per lo sviluppo sano del pensiero del bambino.
Naturalmente i vissuti emotivi sono diversi da bambino a bambino, sia per intensità che per ritmo evolutivo, e se nei primi mesi di vita tutti provano emozioni di gioia, sorpresa, interesse, rabbia, disgusto, sofferenza, intorno agli otto mesi Margherita comincerà ad avere paura degli estranei. Questa paura però diventerà tanto più forte quanto maggiore sarà il legame di dipendenza dalla madre (o l’adulto significativo). Una dipendenza che non è positiva in quanto inibisce la bambina facendole provare quella sensazione di paura che le impedisce di viversi il rapporto con gli altri.
Nel tempo, con la vita sociale vissuta all’asilo e nei rapporti con i coetanei e non, Margherita si arricchirà di altre sfumature emotive: gelosia, curiosità, compassione per gli altri ecc. Ad esempio: se vede un suo compagno piangere, cercherà di aiutarlo, magari offrendogli il suo giocattolo. Oppure diventerà ostile di fronte a situazioni che non le sono gradite…
Queste emozioni primarie sperimentate nell’infanzia resteranno alla base del mondo emozionale dell’adulto, che ovviamente diventerà, con l’avanzare dell’età, sempre più complesso. Se tutto va bene, ossia se fin dalla nascita nessuno ha impedito il normale sviluppo delle emozioni nei bambini e negli adolescenti, l’uomo e la donna, da adulti, sapranno emozionarsi liberamente e rendere chiaro e sereno il loro mondo affettivo. Ma se la società nega lo sviluppo della capacità di emozionarsi, quali potrebbero essere le conseguenze?
Spesso gli adulti tendono a controllare le emozioni dei propri figli, a reprimere la loro libera espressione delle emozioni. Tendono a educarli secondo i loro parametri cognitivi e comportamentali. Questa repressione spinge il bambino al controllo razionale del proprio pensiero, quando invece l’emozione è un fatto psichico che non ha alcun controllo razionale. L’emozione è qualcosa che si scatena nel pensiero libero di sentire e non nel mondo razionale del controllo. E se questo controllo c’è, è deleterio, perché impedisce il sano sviluppo della personalità del bambino che con il tempo potrebbe causargli gravi disturbi psicologici e anche fisici. Insomma, le emozioni a lungo andare se non vengono espresse potrebbero causare delle vere e proprie malattie del corpo.
Dr.ssa Tiziana Cristofari
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