Cosa fa la pedagogista se lo chiedono molti genitori e, ahimè, anche molti insegnanti, spesso timorosi di scoprire poi di dover rimettere in discussione anche il proprio operato.
Eppure in paesi come il Venezuela, l’importanza della pedagogia ha permesso addirittura la nascita di un Ministero apposito per L’intelligenza Umana, che si occupa di formare al meglio i propri cittadini fin dalla nascita, insegnando alle madri come far crescere i propri figli attraverso la pedagogia.
Cosa accade in Italia.
In Italia l’assenza di pedagogia e la non conoscenza di come avviene l’apprendimento da parte degli insegnanti, ha causato molta confusione tra genitori, insegnanti e medici, trasformando ad esempio la difficoltà didattica dei piccoli in una valanga di certificazioni. Le motivazioni sono diverse.
Una è la necessità della scuola di mantenere un livello culturale alto e che possa permetterle la competizione con le altre scuole. Per dimostrare il livello culturale della scuola la politica ha istituito le cosiddette prove INVALSI che non servono a valutare i bambini, ma piuttosto a valutare la competenza dei docenti. Ovviamente è più facile dire che un bambino è malato, anziché dire che i propri docenti sono scadenti nella didattica e nella competenza pedagogica. Questo fa sì che la scuola richieda per ogni bambino con basso profitto una certificazione a giustificazione del suo rendimento.
Stando così le cose, si è innescato un meccanismo perverso che va contro gli studenti e che non riesce a sviluppare un riconoscimento qualitativo con l’introduzione nella scuola della pedagogia e ovviamente della figura del pedagogista esperto di relazione pedagogica, didattica e competenze scolastiche.
È in questo modo che un problema relazionale-didattico dell’insegnante, ovvero pedagogico (quale dislessia, discalculia, ADHD ecc.) si scarica sul medico, il quale il 99% delle volte certifica il bambino scaricando il problema al logopedista, che a sua volta, non sapendo come risolverlo perché senza la giusta competenza, lo scarica sull’impossibilità della cura: data dal fatto che ovviamente non c’è cura, perché non c’è malattia.
Ma non è solo un problema INVALSI: spesso il genitore che non vuole, giustamente, credere alle diagnosi facili, giudica incompetente l’insegnante causando forti tensioni; ma anche il docente si rifà a sua volta sui genitori sostenendo che non seguono i propri figli adeguatamente nei compiti a casa e nell’educazione in generale, motivo per cui i bambini non renderebbero nel profitto.
La pedagogia come unico strumento per la risoluzione di questi problemi.
In poche parole l’alibi dell’ignoranza pedagogica assolve tutti ma punta il dito sul bambino.
Negli ultimi 25 anni una esponenziale crescita dei cosiddetti disturbi dell’apprendimento ha invaso le aule scolastiche di ogni ordine e grado. Gli insegnanti poco formati, di vecchia generazione, non al passo con i tempi per la propria formazione e per una richiesta di aiuto genitoriale forte, incoraggiati anche da una politica incapace di affrontare seriamente le questioni legate alla scuola e al suo bisogno di cambiamento, hanno portato gli insegnanti a richiedere sempre più valutazioni mediche/diagnostiche per affrontare un crescente problema pedagogico e didattico.
Si è tentato di correre ai ripari con un percorso velocemente disponibile e deresponsabilizzante per tutti gli attori adulti imputati, quale è la certificazione, anziché affrontarlo con la sempre più crescente necessità pedagogica ovvero formativa — avanzata e ampiamente dibattuta già più di cento anni fa dalla pedagogista Maria Montessori e sopravvissuta con lei pochi decenni —, fatta fuori poi da un sistema politico incapace di comprenderne il valore e di attualizzarlo, la pedagogia non è più riuscita ad affermarsi quale il fondamento della risoluzione dei problemi didattici-relazionali e pertanto pedagogici dei nostri bambini.
Così la scuola primaria italiana, dall’eccellenza riconosciuta nel mondo è diventata mediocre, con una infinità di studenti certificati per disturbi dell’apprendimento inesistenti (che vanno dalla matematica all’italiano al comportamento e addirittura al movimento), spiegati ai genitori come problemi insiti nel cervello del bambino e pertanto insuperabili e marchianti a vita.
Come professionista nel campo, vorrei spiegarvi cosa fa il pedagogista e farvi capire perché non è possibile, nella società attuale, ignorarne le competenze in ambito scolastico e formativo.
L’attuale titolo di studio universitario per diventare insegnante di scuola primaria, seppur recente, è ancora purtroppo altamente deficitario in riferimento alla formazione e alla cultura pedagogica, che rimane strettamente riservata a chi percorre lo specifico ambito di studi, penalizzando purtroppo così la possibilità di dare strumenti corretti e opportuni ai nuovi docenti.
Cosa fa nello specifico la pedagogista:
Con i docenti
La pedagogista attualmente si dovrebbe occupare della formazione e l’aggiornamento dei docenti in ambito pedagogico, ovvero in tutte quelle funzioni del loro operato: dalla didattica al metodo di insegnamento e di relazione con gli studenti (dal nido alla scuola superiore di secondo grado).
Si dovrebbero occupare con una collaborazione insieme ai docenti, dell’inserimento in classe di bambini stranieri e/o diversamente abili, incentivando, valutano e sostenendo la cooperazione e l’innovazione didattica e di metodo che i docenti devono imparare a esercitare in una classe di bambini tutti diversi uno dall’altro per nazionalità, sviluppo cognitivo, ambiente familiare, situazione economica ecc.
Con i genitori.
I genitori si dovrebbero confrontare con la pedagogista per tutte quelle difficoltà di relazione che incontrano con i propri figli o con i docenti. In poche parole è, nello specifico, un mediatore/formatore delle difficoltà che i genitori hanno con la scuola e nella relazione con i propri figli.
La pedagogista conosce la materia psicologica in virtù non della cura, ma della conoscenza di come avviene la crescita cognitiva e metacognitiva dei bambini affinché possa sapersi relazionare al meglio con loro e possa indicare alla famiglia la risoluzione delle difficoltà educative; pertanto la pedagogista indirizza la relazione genitoriale verso una modalità di interazione e di accudimento appropriata con i figli. La sua formazione umana che passa attraverso la conoscenza della cultura pedagogica, psicologica, sociologica, antropologica e filosofica, gli consente di “aggiustare” tutte le criticità relazionali e ambientali in cui la famiglia viene a trovarsi.
Con i bambini.
Dato che è l’adulto a doversi saper rapportare con i bambini e non viceversa, dopo che il genitore avrà compreso le sue mancanze o carenze nella modalità di crescita dei propri figli, potrà chiedere aiuto alla pedagogista se i bambini hanno delle difficoltà a livello di didattica cognitiva (oggi impropriamente chiamate dislessia, discalculia, disortografia, ADHD ecc.), perché la pedagogista è una formatrice specializzata nella didattica e nelle difficoltà di relazione.
In questi casi quindi, i genitori possono fare riferimento all’esperta pedagogista, che aiuterà gli studenti a superare le difficoltà cognitive e metacognitive didattiche permettendo al bambino di innalzare l’autostima con la giusta metodologia di approccio alla scuola, di accettare l’errore per le nuove competenze scolastiche che devono affrontare, sentirsi sicuri nelle relazioni con il mondo adulto e dei pari grazie alla modalità di relazione che il pedagogista sa instaurare con tutti i bambini e le loro peculiarità, consentire al bambino di sviluppare un metodo di studio restituendogli la voglia e soprattutto il piacere di andare a scuola. E tutto questo avviene attraverso la relazione pedagogica e le attività didattiche.
Come deve essere la pedagogista.
La pedagogista però, deve possedere una identità professionale certa e consapevole, una realtà interna valida e sana e una forte consapevolezza delle potenzialità umane del bambino sapendolo vedere per quello che è e per quello che potrà diventare, sapendolo stimare e incoraggiare fin dal principio della relazione con lui.
Deve possedere una forte preparazione personale di conoscenza su cosa siano quelli che impropriamente vengono chiamati disturbi dell’apprendimento (quindi deve aver studiato e compreso dell’impossibilità che queste difficoltà siano imputabili a fattori genetici o neurobiologici).
In mancanza di tale consapevolezza formativa e/o capacità di relazione nei confronti dei bambini, non si otterranno i risultati sperati e si potrà così urlare alla genetica o alla neurobiologia condannando definitivamente il bambino all’impossibilità di essere uno studente come gli altri.
Ecco cosa fa la pedagogista e perché non si conosce. Il professionista è tale quando il risultato si può vedere.
Dr.ssa Tiziana Cristofari
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