Come si sviluppa correttamente il linguaggio in vostro figlio? Così!
Cominciamo con una premessa:
il linguaggio è una facoltà naturale degli esseri umani; F. de Saussuri afferma che è: “un universale biologico comune a tutti, una capacità di coordinare e associare che opera nel tempo, dando luogo a sistemi linguistici diversi”. Mentre della lingua, afferma che è “un insieme di convenzioni necessarie, adottate dal corpo sociale per consentire l’esercizio della facoltà di linguaggio negli individui”. In poche parole il linguaggio è biologicamente innato nell’essere umano e quindi universale, ovvero uguale per tutti; la lingua invece è tipica della società in cui l’essere umano è inserito.
Come impara il bambino a parlare?
Innanzitutto dobbiamo tenere presente che il linguaggio è un processo globale in cui si intrecciano tre componenti: quella fonetica, ovvero la produzione dei suoni linguistici chiamati foni; quella morfologica, ovvero la composizione delle parole e delle funzioni grammaticali; infine quella semantica, ovvero il significato alle parole. Come possiamo vedere imparare una lingua implica saper gestire tre diverse componenti. Vediamo quindi come avviene l’acquisizione del linguaggio.
Nel primo anno di vita il linguaggio si sviluppa nella sua parte fonetica, quella legata al suono.
Il neonato comunica con l’adulto attraverso il vagito richiedendone l’attenzione. Il pianto è comunque sempre indice di qualcosa che lo disturba, di un disagio.
Nei primi sei mesi di vita il bambino non comprende le parole dell’adulto, ma recepisce l’intonazione della sua voce e la dimensione affettiva o meno di quell’intonazione. A questa dimensione risponde o con il sorriso o con il pianto, ma anche con le espressioni del viso e i vocalizzi.
I primi balbettii (ma-ma pa-pa) sono vocalizzi che attivano l’apparato fonatorio: il bimbo emette e ripete continuamente dei suoni diventando con il tempo sempre più chiari e distinti. Queste vocalizzazioni sono innate e comuni ai bambini di ogni area linguistica. Pertanto i primi balbettii non sono appresi bensì innati. Questo è dimostrato dal fatto che i bambini nati sordi vocalizzano come gli altri fino a sei mesi circa; ma non potranno poi pronunciare le parole perché la lesione dell’organo udito impedirà loro di ricevere e, a questo punto di apprendere, i messaggi comunicativi.
Dopo i sei mesi il bambino comincia a selezionare i suoni; comprende che alcuni procurano soddisfazione mettendo in relazione il suono e il suo significato.
Intorno a un anno inizia lo sviluppo del linguaggio a livello morfologico, ovvero il bambino dà un senso alle parole pronunciate. Le prime parole sono sostantivi, ovvero i nomi degli oggetti; poi compaiono i verbi e gli aggettivi. Successivamente metterà insieme pronomi, avverbi, articoli, congiunzioni e preposizioni. In questo periodo il bambino comunica con la parola-frase, ovvero con un unico termine esprime un’intera frase: ad esempio per dire “accendi la luce” dice semplicemente “luce” oppure “voglio andare via” dirà semplicemente “via” e starà al mondo adulto interpretare il suo significato.
Verso i diciotto mesi ha ancora un linguaggio abbastanza primitivo, non completo, e frasi come “mi sono fatto male alla testa battendo contro il tavolo” le semplifica in questo modo “tavolo-testa-bua”.
Ma quello che risulta di particolare interesse per la formazione del linguaggio è sapere che il bambino non apprende per imitazione. Lo dimostra la regola dell’uso grammaticale dell’infinito: ad esempio, quando dice “bevere” estende anche a questo verbo la formazione dell’infinito. Questa forma linguistica non può certo essere appresa per imitazione in quanto gli adulti non parlano in questo modo. Ma ascoltando gli altri pronunciare l’infinito dei verbi regolari, ha dedotto ed elaborato la regola grammaticale, ma siccome non conosce ancora le eccezioni, la estende anche all’infinito di “bere”, che è irregolare. Questo dimostra che l’acquisizione del linguaggio non è il risultato di un’imitazione passiva, ma un processo attivo e creativo. Solo verso i cinque anni consoliderà la sua struttura grammaticale sviluppando progressivamente anche l’aspetto semantico.
Ma perché alcuni bambini fanno più fatica di altri a raggiungere queste tappe nell’apprendimento linguistico?
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Proprio per il fatto che l’apprendimento del linguaggio è un processo attivo e creativo, la differenza sulla sua acquisizione tra bambino e bambino la fa la capacità o meno dell’adulto di dare stimoli linguistici adeguati e costanti. Questo significa ad esempio che non è corretto, pedagogicamente parlando, ripetere le parole errate del bambino come a voler regredire all’età del piccolo. Ad esempio se per dire la parola “giraffa” il bambino dice “raffa”, non è corretto da parte nostra ripetere al bambino la parola “raffa” anziché nuovamente “giraffa”. Il linguaggio dell’adulto per essere stimolante e diventare creativo per il piccolo, dovrà essere sempre corretto. Le parole utilizzate nella relazione dovranno essere esatte per poter permetterne il corretto sviluppo nel linguaggio del bambino.
Ma non solo. L’intonazione della nostra voce è assolutamente fondamentale nel primo anno di vita, e dovrà essere accogliente, affettiva e dolce. Un’intonazione dura o peggio ancora assente, espressa con superficialità solo per rispondere al bambino magari insistente, ma priva di interesse per quello che ci sta comunicando, porta anch’esso ad un rallentamento nello sviluppo dell’acquisizione del linguaggio.
Ampi studi hanno dimostrato che l’indifferenza affettiva nella comunicazione verbale, non parlare o parlare poco al bambino e l’uso di intonazione aggressiva o passiva della voce portano a un rallentamento nello sviluppo della capacità linguistica.
Pertanto bambini che non hanno vissuto in ambienti stimolanti dispongono di un patrimonio lessicale e sintattico limitato e sono quindi svantaggiati sul piano dell’apprendimento e della comunicazione. Questo significa che non è solo l’ambiente familiare a rendere possibile lo sviluppo e l’acquisizione di un linguaggio adeguato, ma anche la struttura formativa a partire dal nido deve saper fornire al bambino stimoli e affettività adeguati, perché, come ogni altra funzione psichica, il linguaggio verbale si attiva e si potenzia se viene adeguatamente stimolato assecondando i normali ritmi evolutivi.
Pertanto le educatrici dei nidi o nella scuola per l’infanzia, devono saper interagire adeguatamente stimolando i piccoli a loro affidati parlandoci direttamente e con affettività e eliminando quella sensazione che spesso è ancora presente nell’ideologia dominante e che ci fa credere che parlare ai bambini piccoli non serva a nulla perché “in fondo loro non capiscono”. Al contrario, i bambini fin dalla nascita recepiscono moltissimo e in questo primo periodo della vita mettono le basi per uno sviluppo ottimale, sempre però se l’adulto glielo consente.
Possiamo così dire che la differenza di capacità cognitive in riferimento all’apprendimento di un linguaggio adeguato nello sviluppo del bambino, è frutto di un’adeguata stimolazione alla relazione con il mondo adulto sempre se saprà parlare con loro una lingua corretta e affettiva fin dalla nascita. Se parliamo al bambino con indifferenza, pensando ad altro e non prestiamo attenzione alla relazione con lui, cresceremo un bambino indifferente alla comunicazione e pertanto assente e indifferente all’approccio linguistico; tutto questo sarà causa di un rallentamento nella sua capacità di apprendere.
Molte indagini psicologiche sull’apprendimento scolastico hanno confermato questa interdipendenza tra la capacità di relazione affettiva dell’adulto, la sua corretta esposizione delle parole, un ambiente stimolante e la capacità del bambino di sviluppare una proprietà di linguaggio adeguata all’età.
Posso affermare che anche nella mia esperienza come pedagogista ho potuto constatare effettivamente come un’accurata attenzione sia affettiva che relazionale e un corretto linguaggio rivolto a bambini con difficoltà espressive e/o al di sotto delle loro età possa essere ottimale per il recupero di tali carenze, anche piuttosto velocemente.
È fondamentale comunque che anche la famiglia possa comprendere questa delicata esigenza relazionale del bambino e confrontarsi aumentando il rapporto affettivo e la voglia di parlare al bambino stesso.
Escludendo lesioni all’organo cervello che possano creare limitazioni all’apprendimento della lingua (anche queste però superabili grazie alla plasticità del cervello in età evolutiva), studi approfonditi sulla capacità cognitiva dei bambini di apprendere il linguaggio, hanno dimostrato che tali carenze e/o difficoltà non hanno origine neurobiologica, ma solo psicologica e come tali hanno un’origine ambientale e relazionale* **.
Dr.ssa Tiziana Cristofari
© Tutti i diritti riservati
* Per approfondimenti sul tema si rimanda a: T. Cristofari, Bambini senza DSA: una realtà possibile! ** Testo consultato per la stesura dell’articolo: D. Di Sabatino, F. Cigala Fulgosi,La psicologia, Armando Scuola
Per saperne di più sulla pubblicazione
del libro:
Bambini senza DSA:
una realtà possibile!
Come nascono, si prevengono
e si superano
i Disturbi Specifici dell’Apprendimento
Lettera aperta della Dr.ssa Tiziana Cristofari alla Deputata Vanna Iori: vogliono fare della scuola un ospedale!
Firma la petizione lanciata dall’Associazione Nazionale Pedagogisti (ANPe):
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