Sabato sono stata ad un convegno dell’ANPE (Associazione Nazionale Pedagogisti) dove si è parlato di BES, ossia di bambini con Bisogni Evolutivi Speciali (DSA, ADHD, disagio sociale, economico ecc).
Ero molto curiosa di vedere come colleghi non conosciuti affrontassero la problematica. Ero stata più di una volta ad altri seminari su i DSA proposti da vari enti e organizzati appositamente per formare i docenti sull’argomento, ma ne ero uscita sempre profondamente delusa.
Per chi mi segue, sa come la penso: ho più volte affermato che in cattedra ci sono insegnanti preparati solo nella trasmissione dei saperi e senza una cultura alla formazione umana dello studente, oggi più che mai dimostratasi fondamentale. Questo fa sì che la non cultura sull’argomento porti alla veloce e scontata medicalizzazione dei discenti, sottoponendo a diagnosi tutti quei bambini meno prestanti, meno veloci, con attitudini diverse dalla maggioranza della classe.
Queste richieste repentine di una scolarizzazione pressante e spesso opportunistica portano alla realizzazione di percorsi formativi per i docenti, non progettati per imparare a comprendere gli studenti nelle loro diversità e quindi nell’approccio a un’umanità specifica, ma progettati per la realizzazione di percorsi che spingono il docente a scaricare su altri enti preposti le sue responsabilità: ovvero, in mancanza di capacità risolutive da parte dell’insegnante adeguate per il conflitto, l’apprendimento diversificato e altro, si insegna loro a chiedere ad altre strutture la diagnosi per “patologie” moderne (e il più delle volte inesistenti) e la conseguente “cura” fatta di specifici programmi dispensativi. Ma noi pedagogisti ben sappiamo a quanto disagio, frustrazione, caduta dell’autostima, nervosismo, depressione, pianti si creino a questi bambini che sono sottoposti a test e colloqui con i medici immotivatamente. E di quanto poi il disagio provocato dagli stessi “abusi professionistici”, passi presto a divenire cura farmacologica.
Al convegno ANPE i colleghi pedagogisti hanno dimostrato di essere veri professionisti specialisti di questa conoscenza della realtà umana fortemente carente nelle strutture scolastiche, e del modo inconcepibile con cui si tenta di “normalizzare” lo studente: ossia un bambino che è già perfettamente nella norma e che richiede solo (si fa per dire) all’insegnante quelle capacità umane, conoscitive e pedagogiche di cui sopra.
Lo stupore e il piacere di conoscere tanti professionisti ANPE per me è stato immenso: la sensazione di non essere sola in questa battaglia alla “normalità” è per me fondamentale ed è quanto successo al convegno ANPE del 28 febbraio 2015 a Roma.
La scoperta di tanti operatori pronti ancora a sostenere (con merito e ragione) il metodo Montessori (qui in Italia denigrato per la profonda capacità rivoluzionaria che avrebbe apportato alla cultura umanistica e conoscitiva degli insegnanti) è stata un’altra piacevole scoperta. Il metodo Montessori è indirizzato all’umano, alla relazione prima ancora che ai contenuti. Un metodo volutamente tralasciato da una politica scolastica sia di destra sia di sinistra, che necessitava di togliere alla società l’unica iniziativa pedagogica ed educativa capace di rendere il pensiero dell’uomo LIBERO. E seppur dobbiamo rendere atto alle istituzioni di qualche aggiornamento alla didattica e qualche tentativo (seppur a mio avviso sbagliando) di dare speranza (BES), a chi, culturalmente parlando, non sembrerebbe averne, la Montessori con il suo metodo, resta forse l’unica persona che abbia teorizzato e reso prassi, già più di ottant’anni fa, quanto fosse fondamentale la formazione alla cultura umana per docenti, genitori e conseguentemente studenti. E da qui si deve ripartire.
Dr.ssa Tiziana Cristofari
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