Ci vuole in ogni attività una teoria e una prassi ben delineate, ma anche e soprattutto una identità professionale forte per raggiungere obiettivi e risultati. Poi l’esperienza è la ciliegina sulla torta da non sottovalutare.
Ultimamente sto notando che la mia esperienza come pedagogista nel recupero delle carenze scolastiche mi permette di individuare molto velocemente le motivazioni che stanno dietro alle difficoltà scolastiche dei bambini, di quei bambini che vanno male a scuola.
Oggi si parla tanto dei disturbi dell’apprendimento ritenendoli un buon motivo per giustificare lentezze e difficoltà di varia natura. Si dice spesso che i bambini, prima della “scoperta” dei disturbi dell’apprendimento, venivano giudicati svogliati e pertanto puniti da una realtà educativa che ha sempre utilizzato il termine educazione quale sinonimo di coercizione, disciplinamento, imposizione e spesso punizione. Ora pertanto, ci si vuole alleggerire da questo senso di colpa, con un atteggiamento di pietà per una realtà che fa molto comodo a insegnanti, genitori e medici, nonché alla politica e all’economia, arrivando a diagnosticare i disturbi dell’apprendimento in quantità epidemica, e invitando le famiglie “contagiate” a correre dal logopedista o dal neuropsichiatra per una certificazione e un percorso “riabilitativo”(?) logopedico, che leniscano il nostro senso di colpa e ci giustifichino deresponsabilizzandoci dalla nostra incapacità genitoriale e/o didattica-relazionale. Ma non solo, ci serve affinché tutto questo possa assolvere il nostro bambino dall’offesa di essere svogliato, lasciandolo però in una situazione di sottomissione, incapacità, inarrivabilità e impossibilità a evolvere come tutti gli altri studenti. Lasciandolo cioè disperato, nel sentirsi diverso dai compagni di classe.
Nella mia esperienza concretizzata nelle lezioni pedagogiche per il recupero delle carenze didattiche, anche e soprattutto con bambini certificati, ho potuto constatare che se è vero, come è vero, che bambini svogliati praticamente non esistono*, è pur vero che le difficoltà scolastiche nascono e si sviluppano in una cattiva relazione pedagogica e didattica, pertanto non imputabile ai bambini, ma rigorosamente riconducibili al mondo adulto o al contesto ambientale.
Questa forte presa di coscienza, molto formativa, ma anche esperenziale, mi ha permesso di aiutare moltissimi bambini oramai condannati dalle certificazioni e da percorsi logopedici inappropriati, a raggiungere i risultati degli altri bambini che per situazioni familiari, ambientali e caratteriali, riescono a ottenere prestazioni migliori a scuola.
Studi di genetica, neurobiologia, psicologia e pedagogia, riportano sempre alla stessa soluzione: i bambini che vanno male a scuola sono quasi esclusivamente coloro che hanno cattive relazioni con il mondo adulto (genitori e docenti). Genetica e neurobiologia dimostrano che al momento non ci sono prove scientifiche dell’implicazione genetica o neurologica nello sviluppo dell’apprendimento. La psicologia dimostra come le relazioni idonee del mondo adulto hanno un potere enorme sul buon sviluppo dell’apprendimento per le prestazioni scolastiche. La pedagogia, a sua volta, ha dimostrato come, con lezioni pedagogiche specifiche, è possibile il recupero delle capacità di apprendimento e pertanto di buone prestazioni scolastiche.
Per fare un esempio: il biologo Bruce H. Lipton nel 2006 ha dimostrato come il gene non si attiva se non attraverso l’epigenetica attivata a sua volta dalle sollecitazioni ambientali e relazionali; la professoressa Daniela Lucangeli, psicologa, ha dimostrato quanto la paura influisca negativamente sull’apprendimento annullando la capacità metacognitiva di raggiungere un obiettivo. Lo psichiatra Massimo Fagioli nel 1972, ha dimostrato come il primo pensiero nasca sano, come si sviluppa e come lo stesso possa essere invalidato da una cattiva relazione fin dalla nascita. Nel 2004 Joan Kaufman, psichiatra di Yale, studiò e dimostrò come, bambini violentati dagli adulti fisicamente e psicologicamente, riuscivano a recuperare la capacità cognitiva (con un solo incontro al mese con persone diverse e sane nella relazione educativa) i deficit acquisiti e sviluppatisi nelle violenze.
Tutto questo dimostra come l’ambiente relazionale influisce sulla potenzialità di sviluppo dell’apprendimento e come i bambini, che a vario titolo hanno vissuto situazioni non idonee alla loro crescita e formazione, possano recuperare con un rapporto pedagogico sano un rendimento scolastico insufficiente. Robert Rosenthal nel 1992 ha dimostrato come l’Effetto Pigmalione prenda forma sulle aspettative dei docenti per la riuscita o meno dei loro studenti. In poche parole, docenti che hanno stima e fiducia nei propri studenti e non hanno pregiudizi di nessuna natura (come quelli che spesso si formano quando i bambini sono certificati) ottengono buoni risultati da tutti, e non solo da chi inizialmente ha dimostrato maggiori e/o migliori prestazioni.
È troppo facile far ricadere la responsabilità su deficit inesistenti dei bambini senza mai mettere in discussione l’ambiente e i rapporti in cui questi bambini crescono. Nessuna indagine medica neurologica o genetica, considera le scoperte scientifiche a livello psicologico e/o pedagogico, ma si limita a trarre risultati standardizzati sulle prestazioni che il bambino sa effettuare al momento in cui gli viene somministrato il test (esattamente come vengono somministrate le prove INVALSI che si fanno a scuola), ma con la semplice aggiunta di un punteggio effettuato da un uomo in camice bianco.
Ma per vedere che il bambino va male a scuola, è necessario arrivare dal neuropsichiatra o dal logopedista (che tra l’altro si occupa solo di linguaggio) per farsi dire ciò che l’insegnante ha già visto, ovvero che il bambino va male a scuola? È questa la diagnosi di disturbo dell’apprendimento? E quale sarebbe il suo fondamento scientifico? Quale competenza hanno i medici su come deve essere fatta l’attività didattica che porta alla comprensione o meno di un argomento per l’alunno? I medici, fanno mai indagini sul comportamento o il metodo utilizzato dai docenti? Li mettono mai in discussione per il loro operato nelle diagnosi mediche sui bambini? Fanno mai analisi sul sangue per vedere la genetica come risponde? O TAC e Risonanze Magnetiche al cervello per vedere come si muovono i neuroni? Le fanno mai queste indagini prima di diagnosticare un disturbo neurologico o genetico? E se non le fanno, su quali basi fanno diagnosi? Questi medici hanno consapevolezza della delicatezza di indagare sulle capacità cognitive e di ciò che significa per un bambino? Si rendono conto del danno che creano, nella mente di un bambino, mettendo in dubbio le sue potenzialità intellettive con indagini mediche?
L’unica realtà scientifica possibile è capire attraverso una pedagogista — con forte identità professionale, formata nella didattica e nella conoscenza della psicologia, amante dell’insegnamento, della formazione dell’uomo e delle sue potenzialità di crescita e sviluppo fisico e cognitivo — dove si trova la difficoltà scolastica e come poterla superare con le lezioni pedagogiche adatte a quel bambino. Senza cura o pietismo, ma solo attraverso la relazione pedagogica, la didattica e il metodo.
Non esistono i bambini che vanno male a scuola per pigrizia, come non esistono i bambini che vanno male a scuola per “disturbo”. L’unico “disturbo” appartiene alla società che per interessi economici e di scarsa identità professionale, si rimpalla competenze e lavoro sulla pelle dei bambini, senza peraltro permettere loro di formarsi l’autostima e le capacità sufficienti per affrontare la vita e il mondo adulto.
Dr.ssa Tiziana Cristofari
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*Il perché lo spiegherò in un successivo articolo.