Quello che sto per raccontarvi ha dell’incredibile ma è una storia vera: quella di Ginevra (il nome è di fantasia per rispettare la privacy della giovane donna).
Ginevra era una bambina, molto sensibile, introversa, timida con un amore immenso per la sua famiglia. Sua madre era una donna forte, indipendente. Suo padre un uomo che insegnò a Ginevra il valore della libertà di pensiero e la leggerezza nella vita. Aveva due fratelli. Il maggiore, per lei rappresentava la sicurezza, la protezione. Il minore invece era il suo compagno di giochi, di risate e avventure, il complice perfetto per ogni marachella. Sin da piccola affrontò cose molto più grandi di lei: a soli 8 mesi gli venne diagnosticata l’asma bronchiale, che avrebbe fatto parte della sua vita per sempre. Dall’età di 3 anni, per un problema di strabismo di Venere, dovette portare la benda fino a 12 anni. All’asilo le insicurezze della piccola aumentarono perché le maestre, per le difficoltà fisiche, non le permettevano di svolgere le attività insieme agli altri bimbi. La presenza di Ginevra era, per loro, faticosa da gestire, in quanto la bambina aveva bisogno di attenzione, cure e sensibilità, tutte caratteristiche che purtroppo nel mondo scolastico non sono scontate, quindi era molto più facile metterla da parte che renderla partecipe.
In prima elementare Ginevra ancora portava la benda. Per questo motivo, com’è facilmente intuibile, il suo apprendimento verso la lettura era più lento rispetto agli altri. Anche il semplice copiare un testo dalla lavagna richiedeva un grande impegno e sforzo da parte sua. Un giorno la maestra d’italiano in un incontro scuola-famiglia davanti agli altri genitori esordì dicendo: “Ginevra è una bimbina incapace, ritarda il lavoro degli altri bambini quindi è un problema da risolvere. Le mele marce vanno tolte da quelle buone”. La madre della bambina si ribellò alle affermazioni offensive fatte su sua figlia e a gran voce si rifiutò di farle fare qualsiasi tipo di visita o di certificazione. Rivolgendosi alla maestra le disse: “mia figlia sta bene, a casa apprende benissimo e legge altrettanto bene. Se non riesce a farlo qui, il problema non è lei, ma siete voi”.
I giorni passarono e l’ambiente nel quale la piccola si ritrovava non era di certo dei migliori, non veniva stimolata e con il suo carattere chiuso e introverso faceva fatica a esprimersi e a relazionarsi con gli altri bambini. Questa frustrazione naturalmente la bloccava anche a livello cognitivo. Non solo: iniziò a non mangiare più nella mensa scolastica. Sentiva di essere un problema per gli altri e iniziò a pensare di esserlo realmente.
Nonostante tutto però, grazie soprattutto alla sua tenacia sostenuta dalla famiglia, riuscì a superare le scuole elementari e le medie fino alla scelta della scuola superiore. La sua spiccata sensibilità, il suo amore verso l’altro e la sua voglia di fare concretamente qualcosa la spinsero in completa autonomia e libertà nella scelta del liceo Socio-psico-pedagogico, oggi conosciuto come liceo delle Scienze Umane.
Ma quella scuola non c’era vicino casa; per cui ogni mattina con grande forza d’animo si alzava alle 6.00 e si recava in un’altra regione per poi fare rientro a casa alle ore 16.00. Ma ancora una volta il suo carattere chiuso e introverso non la portarono a socializzare con i suoi compagni, aveva timore delle interrogazioni orali e faceva fatica a rivolgersi ai docenti. Ginevra però riusciva a preparare anticipatamente le lezioni degli insegnanti, amava studiare, leggere e conoscere. Non accettava però che i docenti mettessero in cattedra delle lezioni passive, poco stimolanti e di lettura corale, pretendeva e voleva di più da quelle figure che erano lì per istruirla a darle conoscenza e sapienza. Tutto questo generò una sorta di conflitto e di competizione tra lei e i vari insegnanti, che ogni giorno la spingevano a lamentarsi di loro e quella didattica poco attiva e apatica, mentre i suoi modi irruenti la portarono a trascorrere più tempo in presidenza che in classe. Ogni volta domandava al preside: “Perché sbaglio se faccio una domanda diversa da quelle che sono presenti sul libro?”; “Perché sono ripresa se penso che l’interpretazione che la professoressa fa su un filosofo non è corretta?”; “Perché vengo spedita in presidenza se dico a un docente che siamo in grado di leggere da soli e che da lui pretendiamo qualcosa in più?”; “Perché sono solo gli insegnanti a giudicare gli alunni e non può succedere anche il contrario?” Tutte domande alla quale neanche il preside sapeva trovare una risposta, e nei suoi occhi si leggeva l’impotenza davanti a quella situazione che era al quanto ridicola. Nell’ultimo periodo il caro preside faceva trovare all’adolescente dei cioccolatini che tanto le piacevano per “addolcire” la situazione. È facilmente intuibile che comunque Ginevra perse l’anno.
La sua determinazione e testardaggine però, portarono di nuovo la ragazza a riscriversi alla stessa scuola e alla stessa sezione. Come si può ben pensare le cose non cambiarono, questa volta però Ginevra cercò di moderare i suoi modi e il suo linguaggio, ma purtroppo non bastarono per permetterle di continuare il suo percorso accademico. Venne bocciata ancora una volta per la condotta a dispetto degli ottimi voti. Questa volta fu veramente dura da digerire e capire. Ginevra non riusciva proprio a comprenderne il motivo, affrontò un periodo difficile di grande perplessità e riflessione su se stessa e sui propri sbagli. Una cosa era chiara nella sua testa: “non voleva e non poteva mollare”. Nell’estate, prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, Ginevra insieme a sua madre si recarono nuovamente dal preside per comunicargli che aveva deciso di riscriversi di nuovo in quella scuola. Il preside inizialmente non capì, ma disse: “È la prima volta che mi capita una cosa del genere, mi può lasciare solo con Ginevra”. Dopo ore di conversazione il preside capì le ragioni della ragazza e decise di riaccettarla, ma le consigliò di cambiare sezione. Questo consiglio fu la sua rinascita. Incontrò nuovi docenti che la stimolarono e valorizzarono il suo interesse. In modo particolare l’adolescente instaurò un legame particolare con la professoressa d’italiano che aveva compreso le difficoltà emotive della ragazza e iniziò con lei un percorso di consapevolezza di sé e di autostima. Un percorso lungo e difficile che durò all’incirca un anno. Tutti i giorni mentre i compagni di classe della quindicenne si recavano in palestra o alle visite guidate lei faceva lezione di autostima con l’insegnante. Fu un lavoro lungo e difficile perché l’autostima, il rispetto, la fiducia, non sono cose che si apprendono ma bensì si costruiscono giorno dopo giorno. Grazie al lavoro fatto con quella docente, la ragazza che all’epoca era un’adolescente bocciata per ben due volte, oggi è una giovane donna laureata con 110.
Questa breve e intensa storia di vita reale è un esempio concreto di come cambiando la metodologia, la didattica di insegnamento e creando una relazione con i ragazzi, il loro percorso scolastico migliora. Chi studia pedagogia sa che la relazione sana, positiva e fiduciosa rende l’altro capace di qualsiasi cosa. I nostri ragazzi sono capaci di ogni cambiamento positivo. A volte siamo noi adulti che gli mettiamo i bastoni tra le ruote senza neanche rendercene conto.
Dr.ssa Antonella Manfredi
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